Il premier al Colle La linea: né dimissioni né rimpasto

by Sergio Segio | 27 Novembre 2013 8:48

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Per battere il caos, senza esitazioni o cedimenti. Non c’è stato bisogno di molte parole, ieri sera, tra Giorgio Napolitano ed Enrico Letta per «prendere atto» dell’annunciato passaggio di Forza Italia all’opposizione e decidere insieme come superare la fase nuova che si apre adesso.
A rigore, dal punto di vista dei due interlocutori, la «natura» della compagine governativa non è cambiata. Certo, se ne va un pezzo importante della maggioranza, non una piccola scheggia. E, certo, l’intero quadro politico è «inquieto» e in movimento, affollato com’è di sabotatori ansiosi di mettere il Quirinale e Palazzo Chigi nel mirino. Ne sono consapevoli entrambi. Tuttavia il centrodestra resta rappresentato attraverso la formazione di Angelino Alfano, il Ncd, nello schema delle larghe intese. Che sono destinate a diventare, sì, meno larghe, ma con un perimetro pur sempre autosufficiente, stando a una prima contabilità parlamentare. Una coalizione che potrebbe forse essere perfino più coesa di quella uscita mutilata dall’estrema scelta di Silvio Berlusconi. La sopravvivenza, però — concordano capo dello Stato e premier nel loro faccia a faccia al ritorno di Letta dal vertice con Putin a Trieste — va certificata in Aula entro «brevissimo tempo». Cioè già nella sfida della fiducia sulla legge di Stabilità, appuntamento cruciale per ogni esecutivo, che si concluderà oggi alla Camera. Meglio voltare pagina il più in fretta possibile (per evitare che, tra uno strappo e l’altro, l’intero sistema entri in torsione, poiché nelle stesse ore si voterà sulla decadenza del Cavaliere al Senato e i militanti forzisti alzeranno le barricate davanti a palazzo Grazioli), ponendo subito il tema al centro della discussione dell’Assemblea.
Una «verifica» che può essere non soltanto rapida (e questo appare consigliabile anche per non mettere troppo alla prova la tenuta del neonato Ncd), ma, nonostante i numeri più limitati, addirittura quasi indolore. Almeno, e in questo senso sono illuminanti parecchi precedenti, quanto ai vincoli istituzionali e pure a una certa maniera d’interpretare la prassi. In definitiva: siamo già, e formalmente, in uno stato di crisi o pre crisi? O attraversiamo piuttosto uno stadio di sfaldamento grave, ma che può essere facilmente ricomposto salvando la sostanza della formula del governissimo? Per gli inquilini del Colle e di Palazzo Chigi sembra quest’ultima la situazione. In questo caso, infatti, non servirebbe la remissione dell’incarico del premier davanti al capo dello Stato e una sua preventiva presentazione da dimissionario davanti alle Camere (Berlusconi pare ci sperasse, per procrastinare il voto sulla temutissima decadenza). E non servirebbe neanche un vero e proprio rimpasto, dal momento che i ministri del centrodestra aderiscono al gruppo alfaniano. Andrebbero cambiati solo alcuni sottosegretari.
Riassunto così, sembra tutto abbastanza facile, ma sia Napolitano che Letta sanno bene che facile non sarà. Fino all’ultimo, anche se possono fondare la fiducia che traspariva dalla nota ufficiale di ieri sulla scommessa fallita di Berlusconi ai primi d’ottobre. Ricordate? Fu quando il Cavaliere tentò invano di scalzare il premier e il Parlamento potè invece verificare l’esistenza in vita di una nuova maggioranza, e numericamente adeguata, senza il sostegno della costituenda Forza Italia. Bisognerà insomma che passi questa «nottata», che il capo dello Stato sorveglia con preoccupazione anche perché teme che, se venisse giù tutto, cadrebbero pure le premesse riassunte nella legge di Stabilità per consentire all’Italia di agganciarsi alla ripresa già in corso in mezzo mondo. Più in là ci sarà tempo per associare la ripartenza del governo ad altre questioni, su cui il Quirinale ha puntato molto fin dal giorno in cui si è dischiusa questa «finestra per tempi eccezionali». Ossia le riforme costituzionali e, soprattutto, la nuova legge elettorale.
Marzio Breda

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