by Sergio Segio | 26 Novembre 2013 9:51
ROMA — Il giorno del giudizio deve ancora arrivare, eppure tutti i partiti guardano già al dopo, come avessero metabolizzato anzitempo la decadenza del Cavaliere, sebbene il passaggio di domani sarà epocale e segnerà in modo drammatico la cesura del ventennio berlusconiano in Parlamento. Ma proprio gli effetti di questo evento impongono alle forze politiche — dal Pd alla stessa Forza Italia — di elaborare le mosse successive per posizionarsi, ed è così che prende corpo l’idea di un appuntamento che serva da fixing al cambio degli equilibri: un dibattito alle Camere e un voto di fiducia sul governo.
A palazzo Chigi farebbero volentieri a meno del passaggio, non a caso il ministro Franceschini ha forzato i tempi pur di ottenere già oggi dal Senato la fiducia sulla legge di Stabilità. Formalmente l’obiettivo è blindare il testo sulle finanze dello Stato. Ma siccome è impensabile che il provvedimento superi senza modifiche l’esame della Camera, s’intuisce che il vero intento era (e resta) quello di far risaltare l’avvenuto mutamento del quadro politico, di aprire e chiudere cioè in un solo giorno il dibattito sui conti pubblici e quello sui nuovi numeri dell’esecutivo.
Invece nel Pd e in Forza Italia ci sono interessi convergenti, pur nella diversità dei ruoli, per arrivare a una nuova fiducia con un dibattito in Parlamento che consumi il passaggio politico. Così, se tra i Democratici c’è chi — sfruttando le parole di Letta — vuol «porre fine all’ambiguità» della maggioranza che si era creata il due ottobre, quando il Cavaliere votò in extremis la fiducia al governo, sul fronte dei berlusconiani c’è interesse a schiacciare Alfano a sinistra, puntando a recidere una volta per tutte il cordone ombelicale tra il leader forzista e l’ex segretario del Pdl. E la manovra degli azzurri potrebbe ottenere il supporto dei montiani, che mirano al rimpasto.
L’offensiva su palazzo Chigi è chiara per chi — come Forza Italia — si sta ponendo all’opposizione, e per chi — nella maggioranza — pretende di comandare il gioco o più prosaicamente chiede un posto a tavola. Finora l’affiatamento tra il premier e il suo vice ha funzionato, e Letta ancora ieri ha esaltato il loro «gioco di squadra», che si rivela nello schema utilizzato per superare il giorno del giudizio: non è casuale la mossa di posticipare la cancellazione della seconda rata dell’Imu dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi. È un assist al leader del Nuovo centrodestra, che potrà dire di aver raggiunto uno dei suoi più importanti obiettivi programmatici quando Forza Italia sarà già passata all’opposizione, intestandosi il successo e incassandone il dividendo.
Il fatto è che dopo il giorno del giudizio per Berlusconi arriverà il giorno del giudizio nel Pd. E infatti non è al 27 novembre, è all’otto dicembre, all’avvento di Renzi, che i partiti in realtà stanno guardando per capire in che modo cambierà la geografia del potere nel Palazzo. E c’è un motivo se Alfano ha proposto l’altro ieri un «patto programmatico» al futuro segretario democratico: l’obiettivo è rinegoziare l’intesa di maggioranza, in virtù dei nuovi equilibri. La risposta sprezzante fatta pervenire da Renzi — «bene ne parleremo, noi siamo trecento loro trenta» — è stato un modo per parlare a nuora perché suocera (cioè Letta) intendesse. I berlusconiani immaginano che la manovra a tenaglia di Forza Italia all’opposizione e del Pd in maggioranza possa costringere Letta ad abbandonare il «gioco di squadra» con il vice premier, e che Alfano — costretto a stare nel governo — diventi «prigioniero» della sinistra.
Non c’è dubbio che per il Nuovo centrodestra i prossimi passaggi si preannuncino difficili, però le difficoltà accomunano tutti i protagonisti della sfida. Con Berlusconi fuori dal Parlamento, per i forzisti si preannuncia una lunga marcia piena di incognite, esposti come sono nella competizione con i «cugini» governativi. Quanto al sindaco di Firenze, i muscoli mostrati ancora ieri a Letta rivelano la sua debolezza, perché senza le urne rischia di logorarsi nell’attesa, sebbene nel Pd ci sia già chi — come l’ex ministro Damiano — azzardi che «dopo la legge di Stabilità e il varo di una nuova legge elettorale si potrebbe andare al voto in primavera». Peccato non sia alle viste un’intesa sulla riforma del Porcellum.
«La verità – dice un parlamentare di lungo corso come l’ex ministro azzurro Matteoli — è che la crisi dei partiti ha prodotto l’immobilismo del governo. Ma in politica i governi debolissimi sono quelli destinati a durare più a lungo». E in fondo tutti vogliono durare, per dimenticare Berlusconi. Perciò pensano già ad altro alla vigilia del giorno del giudizio.
Francesco Verderami
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