L’«uscita» del Cavaliere non dà sicurezze sul futuro del governo

by Sergio Segio | 23 Novembre 2013 9:55

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La conferma, data ieri dal vicepremier Angelino Alfano, che comunque il «Nuovo centrodestra» si esprimerà contro la decadenza, non cambia la sostanza delle cose. Semmai, rimane da capire se la votazione arriverà prima o dopo il «sì» alla legge di Stabilità. Nel governo c’è chi non esclude di ricorrere alla fiducia per accelerare i tempi. Ma la tesi è di tenere ferma la data del 27, sebbene il presidente del Senato, Pietro Grasso, abbia annunciato un’altra riunione per lunedì. Il segretario Guglielmo Epifani nega che ci siano state «accelerazioni» volute da Pd, mentre il Cavaliere continua a descriversi come un perseguitato candidato alla prigione.
Sgombrato il terreno dalla silhouette ingombrante del Cavaliere, la strada dovrebbe essere in discesa, per la coalizione. Ma di quanto sta avvenendo beneficerà con ogni probabilità Matteo Renzi, il quale non è esattamente un sostenitore delle «larghe intese», anzi. Non si capisce ancora quante persone andranno a votare alle primarie dell’8 dicembre per scegliere il segretario; e questo pesa sulla legittimazione del nuovo leader. Il conflitto dai contorni sempre più taglienti tra il sindaco di Firenze e il premier Enrico Letta ma soprattutto con Giorgio Napolitano, fa temere rischi di instabilità. Renzi non smette di avvertire che la sua elezione segnerà uno spartiacque; e che molte teste cadranno perché in questi mesi il partito si sarebbe piegato ai ricatti del centrodestra.
Una volta al potere lui, invece, le «larghe intese» dovrebbero essere ribilanciate e spostate a sinistra. «Dal giorno dopo le primarie», scolpisce il favorito alla segreteria, «il governo farà le cose che dice il Pd». Se le parole hanno un senso, Letta si troverà a dovere affrontare non tanto le truppe di Alfano, che in nome della stabilità hanno rotto un sodalizio ventennale con Berlusconi. Gli attacchi alla maggioranza di «larghe intese» arriveranno dalla nuova leadership del suo stesso partito. Avversari di Renzi come Gianni Cuperlo fanno notare che l’«agenda di Palazzo Chigi» dovrebbe essere condizionata fin d’ora, non dall’8 dicembre. Aggiungono pure che «chiunque vincerà, avrà l’obiettivo di far funzionare il governo, non di farlo cadere»: l’elettorato «non vuole elezioni anticipate».
Il timore della spallata, insomma, è ben presente a tutti. E benché sia difficile dare la colpa a Renzi se prevale in un congresso nel quale la vecchia guardia non è riuscita a opporgli un candidato alternativo davvero di peso, il suo piglio preoccupa sia il presidente del Consiglio che il capo dello Stato. Né, a fermarlo, basterà additare la contraddizione di un Renzi che ha chiesto le dimissioni della Guardasigilli Annamaria Cancellieri, non accusata finora di nulla dopo le telefonate alla famiglia del costruttore Salvatore Ligresti; e in parallelo difende il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, indagato e suo alleato congressuale, contro la richiesta di un passo indietro, che arriva da settori del Pd. «Le dimissioni» ha replicato, Renzi, «si chiedono ai condannati, non agli indagati». «Imbarazzante», lo punzecchiano i seguaci di Letta , «la copertura di Renzi a favore di De Luca». Sono dosi reciproche di veleni, prevedibili e purtroppo destinate ad aumentare.

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