by Sergio Segio | 21 Novembre 2013 9:10
SALERNO — Lui che le parole pesanti non ha mai evitato di lanciarle come pietre, ora deve preoccuparsi di scansarle. «Mi sa che stavolta è proprio alla fine, e qui la fine è buffa. Come non può che essere per un personaggio così: infausto e ridicolo». Se e quando Vincenzo De Luca leggerà il pensiero che gli manda il non amato compagno di partito Guglielmo Vaccaro, replicherà sicuramente a modo suo, e i suoi modi non sono mai gentili, figuriamoci in questo caso. Ma intanto l’altro insiste e la frase più dolce che gli consegna è che «il potere a quello gli ha dato alla testa ma ormai si è spinto al di là del bene e del male».
Certo, Vaccaro lo detesta perché il viceministro-eternamente sindaco è riuscito a impedirgli di candidarsi a Salerno, e lui, per entrare in Parlamento con la benedizione di Enrico Letta, si è dovuto spostare a Napoli. Ma è vero anche che cose così pesanti De Luca proprio non è abituato a sentirsele dire. E nemmeno più leggere. Perché a Salerno, almeno fino a pochissimo tempo fa, non c’era uno che provasse lontanamente a contraddirlo. Nemmeno quella che in consiglio dovrebbe essere l’opposizione. La sua blanda rivale alle ultime comunali, Anna Ferrazzano, del Pdl, lo appoggia quasi regolarmente: i provvedimenti del sindaco passano anche con i voti del centrodestra, non bastassero tutti quelli che già ha dalla sua parte ufficiale.
Gli unici che non lo temono — magistrati a parte — sono quei cittadini che si sono a lungo opposti alla realizzazione del Crescent e che alla fine hanno preso l’appello sprezzante che usava per loro il sindaco e ne hanno fatto il nome di un movimento: i «Figli delle chiancarelle».
Le chiancarelle sono le tavole di legno e nella zona del Crescent una volta c’erano laboratori di falegnameria che, secondo De Luca, chi lo contesta avrebbe voluto far riaprire. Da qui il soprannome. Che poi quelli ce l’avessero con lui anche per altre cose, tipo i duecentomila euro che sarebbe costato il logo della città commissionato al designer Massimo Vignelli, è un altro discorso, che il sindaco finge di ignorare. Continua ad accusarli di «finto ambientalismo», interpreta l’inchiesta a suo carico come l’ennesimo tentativo di fermarlo, e annuncia che appena gli avvocati gli daranno l’ok metterà in rete l’avviso di garanzia ricevuto, così «tutti potranno rendersi conto di cosa si tratta».
Perché De Luca, da perfetto uomo solo al comando, parla soltanto con i suoi elettori. E direttamente. La storia dei discorsi alla città che da anni fa ogni settimana dagli studi di una emittente televisiva salernitana, senza domande, senza contraddittorio, comincia molto prima che nascessero i social network. E continua ancora, anche se adesso i messaggi sono a getto continuo tramite Facebook e Twitter. Però una spiegazione al perché continui a trascinarsi nell’incompatibilità dei due incarichi di sindaco e viceministro alle Infrastrutture, ancora non l’ha data. Si è lamentato di non aver avuto deleghe, ha provato inutilmente ad ammorbidire l’ostilità di Letta tramite la mediazione di Bettini, ha ironizzato ai limiti dell’insulto con il suo ministro, Lupi («Somiglia alla figlia di Fantozzi»), ma intanto sta ancora lì. Pochissimo a Roma e moltissimo a Salerno, dove però alle prossime amministrative non potrà ricandidarsi a sindaco. Per farlo avrebbe dovuto già optare per l’incarico romano, e invece lui ha lasciato scadere i termini. Ma una scelta dovrà farla comunque, ed entro la fine di novembre. Altrimenti sarà fuorilegge.
Non che finora si sia preoccupato dell’ambiguità in cui ha scelto di restare, ma ormai non può più continuare a trascinarla . Difficile immaginare, però, che lasci la sua poltrona di sindaco. Proprio adesso che Salerno vive i suoi giorni di maggior gloria con le «Luci d’artista», quelle sì una cosa di cui De Luca può giustamente vantarsi. E anche della metropolitana appena inaugurata. E poi lui solo a Salerno può trovare argomenti solidi per riprovare a scalare la Regione, dopo aver fallito l’obiettivo nel 2010. Anche la scelta di diventare renziano senza che nemmeno Renzi glielo chiedesse può essere spiegata come il tentativo di farsi trovare dalla parte secondo lui vincente del Pd quando si tratterà di scegliere il candidato governatore della Campania. Perché la sconfitta contro Stefano Caldoro è per De Luca l’unica macchia di un ventennio di successi. E lui il suo ventennio (abbondante) lo vuole tutto vincente.
Fulvio Bufi
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