«Spending review unica cura per la recessione»
Questo accade mentre il Pil globale crescerà nel 2013 del 2,7% e del 3,6% nel 2014 (stime riviste al ribasso da maggio).
Quanto alla crescita del debito pubblico, si conferma l’inutilità dei tagli effettuati alla spesa pubblica: nel 2014 arriverà al massimo del 133,2% per scendere l’anno successivo al 132,6%. E questo senza ascoltare le giustificazioni del ministro dell’Economia italiano secondo il quale le stime di tutti i commissari delegati alla sorveglianza dell’austerità italiana non hanno fino ad oggi calcolato i «benefici» derivanti dall’Iva versata sui debiti della pubblica amministrazione che il governo sta restituendo. Conferme del fallimento dell’austerità vengono anche dalla disoccupazione: nel 2014 crescerà ancora dall’attuale 12,1% al 12,4%.
Ammesso che esista quell’eufemismo chiamato «crescita», non ci sarà nuova occupazione (l’ormai famigerata «jobless recovery»). O meglio non ci sarà occupazione «stabile», mentre crescerà la precarizzazione. L’Ocse però si dice «soddisfatta» delle politiche di consolidamento sul deficit al 3% delle larghe intese: «Il miglioramento del deficit di bilancio è stato sostanziale nel 2013 – si legge nell’Economic Outlook autunnale sull’Italia – il governo è riuscito a continuare il risanamento strutturale dei conti, anche se il rapporto sul disavanzo non è calato a causa della recessione». In queste condizioni, nel 2014 e nel 2015 sarà necessaria una stretta sui conti «almeno pari a quella programmata».
Gli ingredienti per l’austerità sono garantiti: alla recessione si reagisce con un’altra ondata di politiche recessive. Questo produce tagli, poi crescita del debito pubblico, aumento della disoccupazione, calo dei consumi e crescita anemica. Qual è la soluzione indicata dall’Ocse? Peggiorare l’austerità e i suoi effetti, accelerando il processo di vendita e privatizzazione di asset produttivi pubblici, patrimoniali e quant’altro di valore esista tra i «gioielli di famiglia».
Il capo economista Ocse Giancarlo Padoan non la mette propriamente così. Usa il linguaggio sibillino delle «riforme», alliscia il pelo delle imprese sostenendo il taglio del costo del lavoro e pesa bene parole che sono musica per le orecchie di Carlo Cottarelli, l’ex Fmi appena eletto a guardiano della spending review, 32 miliardi di euro di tagli nei prossimi tre anni.
«Bisogna trovare risorse per tagliare le tasse e per farlo bisogna tagliare le spese con una spending review – sostiene Padoan – Se cala un debito così grande, i benefici in termine di interessi sono considerevoli». Ma il debito non calerà e imporrà sempre nuove dismissioni.
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