Vetri termici e auto elettriche così l’Italia potrà diventare l’eldorado dell’energia gratis

by Sergio Segio | 20 Novembre 2013 8:09

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ROMA — Un’Italia pulita è possibile. Soprattutto, costa anche meno. A patto di avere il coraggio di fare scelte difficili: sole al posto del carbone, auto piccole ed elettriche invece che a benzina, tanto trasporto pubblico, vetri nuovi alle finestre. Se si parte subito, l’eldorado dell’energia gratis e della bolletta leggera è al 2050, ma i primi risultati si possono vedere già alla fine di questo decennio. Né la scommessa, né le ricette sono nuove, ma il merito del rapporto “Energy (R) Evolution Italy 2013” — preparato dal Gwec e dall’Erec, le organizzazioni europee per l’energia eolica e per quella rinnovabile e sponsorizzato da Greenpeace — è di metterci dei numeri sopra. La politica del braccino corto, in termini di rivoluzione energetica, dunque, non è gratis: continuare a dare spazio ai combustibili fossili, dal carbone al petrolio, comporta investimenti per rinnovare le centrali e la rete nel nostro Paese, per un totale di 272 miliardi di euro, da qui a metà secolo, solo per l’elettricità. Puntare, invece, tutta la posta sulle rinnovabili costa, però, molto di più: 437 miliardi di euro. Significa investire oltre 10 miliardi di euro l’anno, 4 miliardi in più di quanto costa la prima, più prudente, ricetta. Ne vale la pena? Sì, risponde il rapporto. Perché le rinnovabili — a cominciare da sole, vento, acqua — hanno un vantaggio impareggiabile: il combustibile è gratis. E questo, per un Paese che — oggi — spende 65 miliardi di euro l’anno per garantirsi l’energia, conta. Dunque, i risparmi conseguibili, facendo a meno del combustibile, sono pari, nei prossimi 40 anni — che vedranno, probabilmente, aumentare il prezzo sia del petrolio che del metano — a 380 miliardi di euro, quasi 10 miliardi di euro l’anno. La rivoluzione dell’energia, in pratica, sostiene il rapporto, si paga quasi da sola.
La proiezione è tanto più significativa, in quanto lo scenario tendenziale ipotizzato non trascura affatto le rinnovabili. Anzi, il 72 per cento dei nuovi investimenti totali nel comparto elettrico, cioè circa 200 miliardi di euro, andrebbero comunque, nei prossimi 40 anni, alle energie alternative e solo il 17 per cento sarebbe riservato a petrolio, carbone, metano. Nello scenario (R) Evolution, la quota di investimenti sulle rinnovabili è pari all’86 per cento (e quel che resta va solo a impianti a gas in cogenerazione, necessari per stabilizzare la volatilità di fonti come sole e vento: in sostanza, se il sole non c’è, si accende la centrale a gas). Siccome, però, il totale complessivo è superiore, gli investimenti in rinnovabili sarebbero molto più massicci rispetto all’ipotesi conservatrice: circa 375 miliardi di euro. Questo spiega perché il peso delle rinnovabili nel 2050 è, nelle due ipotesi, radicalmente diverso. Senza rivoluzione, le rinnovabili, che oggi contano per l’11 per cento dell’energia primaria (elettricità, ma anche riscaldamento e trasporti) arriverebbero al 26 per cento nel 2030 e lì resterebbero inchiodate, toccando solo il 26,5 per cento nel 2050. Con la rivoluzione predicata dal rapporto il contributo delle rinnovabili alla produzione di energia di qualsiasi tipo nel nostro Paese sarebbe già del 43 per cento nel 2030 e di oltre l’80 per cento nel 2050.
Abbiamo trovato la carta vincente, allora? I conti del rapporto, in realtà, reggono solo se si realizzano alcune condizioni, verosimili, ma non scontate. La prima è che un potere politico incapace di dare una svolta decisiva verso le rinnovabili non sia in grado neanche di imporre criteri rigidi e severi di efficienza energetica, nella costruzione di edifici, come nella commercializzazione di apparecchiature
elettriche ed elettroniche. Con i risparmi possibili grazie ad una maggiore efficienza, infatti, si ottiene la stessa energia, consumandone meno. E’ una differenza cruciale fra i conti dello scenario tendenziale (dove l’efficienza non c’è) e quello rivoluzionario (dove i risparmi ci sono). Perché, senza riduzione dei consumi, le energie alternative non bastano. La seconda condizione è la riduzione dei costi di impianto e produzione delle centrali alternative. Oggi, i costi degli impianti fotovoltaici, eolici, geotermici, a biomasse oscillano fra i 7 e i 29 centesimi di euro (il più alto è quello del fotovoltaico) a kilowattora. Ma la tecnologia — al contrario di quanto avviene per i combustibili fossili — progredisce rapidamente. La produzione di energia da fotovoltaico,
ad esempio, raddoppia ogni due-tre anni e, ogni volta che raddoppia si calcola che il costo di impianto scenda del 10 per cento. I costi delle diverse energie alternative dovrebbero, dunque, presto scendere a 5-10 centesimi di euro a kilowattora, quanto di fatto costa oggi l’elettricità da fonti fossili.
Ma non c’è solo l’elettricità. Per quanto decisiva per il futuro, l’elettricità è anzi, paradossalmente, il comparto su cui è più facile intervenire, perché la produzione è raggruppata in centrali. Ma, ogni giorno, consumiamo più energia per riscaldarci e per far andare la macchina che per tenere accesa la luce. Cruciali, dunque, per le proiezioni del rapporto, sono gli interventi per risparmiare l’energia che ci occorre per riscaldarci (e restare freschi). Un miglior isolamento degli edifici può abbattere del 25 per cento la domanda di energia per controllare la temperature delle case. Ma il resto è affidato a fonti diverse di produzione di calore o di fresco. Il rapporto ipotizza che l’uso delle biomasse (rifiuti e legname di scarto) triplichi da qui al 2050. Ma il salto di qualità avviene con i collettori solari (utilizzabili anche per il raffreddamento), il cui contributo crescerebbe di quaranta volta rispetto ad oggi. E con le pompe di calore geotermiche, il cui uso resterebbe inferiore agli altri due sistemi ma con un aumento, rispetto ad oggi, di cento volte.
Tuttavia, non è finita. Per quanto possa essere difficile pensare ad edifici tutti con vetri termici alle finestre e il riscaldamento sotto il pavimento, anziché sulle pareti, il nodo più intricato della politica energetica restano i trasporti che, oggi, assorbono il 35 per cento della domanda di energia, tutta con il petrolio, contro il 22 per cento dell’elettricità. In futuro, se vogliamo che le cose cambino, dice il rapporto, quei numeri devono ribaltarsi. Il futuro non può che essere dei motori elettrici. Potete viaggiare con la vostra auto o, come gli autori del rapporto preferirebbero, con il trasporto pubblico: treni, tram, metropolitana. Ma, pubblico o privato, l’importante è che sia elettrico.

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