Fiat riceve dallo Stato più di quanto versa il ricorso alla Cig superiore ai contributi

by Sergio Segio | 20 Novembre 2013 8:05

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Il manager di Torino avvalorò le sue parole con una stima della posizione di Fiat all’Inps, l’ente che gestisce gli ammortizzatori sociali. I contributi versati dal gruppo per la Cig e la Cigs, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, erano superiori al ricorso che il Lingotto vi faceva. La prima azienda manifatturiera d’Italia non stava assorbendo risorse pubbliche, al contrario ne versava.
Da allora quell’equazione sulla Cig si è rovesciata. A ben vedere, questo è solo un tassello dello stesso fenomeno che ieri ha visto le vendite di Fiat ridursi del 7,3% in un mercato europeo in crescita in ottobre del 4,6% sul mese prima, mentre in Italia si registra ancora un calo del 5,6%. È in questo quadro che oggi Fiat chiede all’Inps più risorse di quante non ne versi sotto forma di contributi. La cassa integrazione del Lingotto continua in parte perché, con un mercato in caduta in Italia, Marchionne resta riluttante a investire nel vecchio continente benché i suoi concorrenti continuino a farlo. Gli analisti di Kepler Cheuvreux stimano che per ogni auto venduta in Europa, dove l’Italia rappresenta il 45% del fatturato, Fiat abbia perso più di mille euro nell’autunno 2012 e 258 euro l’estate scorsa.
Queste perdite in Europa ora sono in calo. Ma, appunto, lo sono grazie a un contenimento dei costi nel quale la cassa integrazione ha un ruolo. L’istituto nazionale di previdenza tiene riservata la posizione delle singole aziende («a tutela della loro privacy») e Fiat stessa non fornisce dati esatti. Tuttavia, fonti vicine al Lingotto riconoscono che sulla base dell’andamento recente «molto probabilmente» il saldo con l’Inps oggi è negativo. Del resto l’Istituto di previdenza mostra come nel 2012, in Italia, fra contributi versati dalle imprese per la Cig e l’uso di questi ultimi ci fosse uno squilibrio di 1,6 miliardi. Il deficit viene colmato dai contribuenti.
Nel caso del Lingotto, questo sembra un tassello della strategia del gruppo che va oltre il crollo stesso di domanda nel paese. L’anno scorso per esempio il gruppo Fiat ha venduto in Italia 415 mila auto, il 46% meno rispetto al 2007. Ma ne ha prodotte ancora di meno, solo 394 mila. Significa che persino l’unico grande costruttore italiano di auto è un importatore netto dei suoi stessi prodotti nel proprio paese di origine. Gli conviene farli fuori. L’Italia non viene più giudicato un posto nel quale produrre auto su vasta scala a condizioni economiche. Quanto a questo, pur senza un marchio nazionale, la Spagna produce il triplo di auto rispetto all’Italia (1,1 milioni) e la Gran Bretagna quasi il quintuplo. Solo la Polonia è a livelli paragonabili. Succede così che, ai dati di ottobre, a Mirafiori la Cig è in parte un lungo intermezzo prima della produzione dei nuovi Suv Maserati e in parte una risposta ai vuoti di domanda sull’Alfa Mito. A Cassino ci si ferma in media una settimana al mese per non riempire i piazzali di Bravo, Delta e Giulietta invendute. A Melfi la Punto si
fa su una sola linea, “per consentire nuovi investimenti”. A Pomigliano la Panda ha buoni risultati ma anche qui si fa Cig a rotazione. E alla Sevel di Atessa si sono avute venti giornate di cassa nei primi dieci mesi dell’anno.
L’obiettivo sembra chiaro: evitare traumi in Italia mentre Marchionne persegue l’integrazione con Chrysler. Per il nuovo gruppo che dovrebbe nascere, il Lingotto ha dato incarico una società specializzata di trovare un nuovo nome, ma comunque si chiami gli equilibri della compagnia saranno spostati. Già oggi l’Europa pesa per appena il 20% dei ricavi di Fiat Spa (modelli di lusso esclusi) e quest’anno ha bruciato cassa per 420 milioni in soli nove mesi. Il Nord America e l’America Latina invece rappresentano circa il 70% di tutte le attività in utile. Sono queste forze a dettare il baricentro.
Ciò pone a Marchionne un problema sull’Italia. Negli ultimi anni, dice lui stesso, «ci siamo rifiutati di fare investimenti in Europa perché non si recupera neanche il costo del capitale e non vedo niente che mi dia ottimismo per il 2013 e 2014». Marchionne non nega di avere capacità in eccesso, ma aggiunge: «Non chiuderemo gli impianti per non facilitare il dominio tedesco in Europa». La scelta è dunque automatica: produzione limitata in Italia a piccole auto per un mercato debole e di modelli che il manager definisce «esclusivi», dunque non su vasta scala, come il nuovo Suv Maserati. Fiat non comunica l’età media degli addetti nei vari impianti italiani ma, poiché le assunzioni sono ferme da anni, è inevitabile che sia elevata. Continuare la Cig significa per il Lingotto avviare una riduzione degli effettivi grazie all’attrito dei pensionamenti. Non si può imporre a nessuna impresa, aiutata o no, di lavorare in un luogo che non considera competitivo. Ma così le risorse pubbliche italiane trovano un ruolo nella strategia internazionale di Fiat: stavolta, a differenza dagli anni ‘70, non per attrarre produzioni nel paese.

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