«Irregolarità nella fusione» Le confidenze di Peluso

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MILANO — Possibili irregolarità nella definizione dei concambi tra Fonsai e Unipol, a loro volta frutto della scelta delle metodologie più favorevoli all’operazione tra le opzioni possibili per calcolare il patrimonio, vizierebbero già da oltre un anno la lunga marcia societaria verso il perfezionamento della quasi completata fusione tra il gruppo assicurativo bolognese e la galassia assicurativa (Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni, Premafin) dell’ex gruppo Ligresti: e già un anno fa Piergiorgio Peluso, ex direttore generale di Fondiaria da poco passato all’epoca in Telecom, di questi possibili illeciti sottostanti ai concambi sarebbe stato talmente consapevole da confidare di aver appena lasciato Fondiaria proprio per non farsi più trovare lì nel momento in cui la definizione dei concambi avesse definitivamente fissato i termini del controverso matrimonio societario. E cioè della fusione generatrice del secondo gruppo assicurativo italiano dopo Generali, destinato con la benedizione della Consob a rasserenare le prospettive di grandi creditori sia dell’ex gruppo Ligresti (Mediobanca e Unicredit) sia di Unipol (Mediobanca), ma anche a penalizzare i piccoli azionisti senza Opa.
Quella confidenza, attribuita al figlio del ministro della Giustizia Cancellieri, affiora da quanto adesso si scopre che alla fine di ottobre 2012 è stato raccontato ai magistrati e alla Guardia di Finanza dall’«attuario» di Fondiaria, Fulvio Gismondi, cioè dal dirigente che, a metà tra economia e statistica, in una assicurazione deve dare atto dei «principi di calcolo e dei procedimenti tecnici utilizzati per la determinazione delle riserve» sinistri e «attestare la loro sufficienza», requisito cruciale per un’assicurazione.
Gismondi ha deposto sulle vicende Ligresti/Unipol avendo alle spalle un arresto nel 2006 e una condanna nel 2011 in primo grado a 3 anni (condonata dall’indulto e poi prescrittasi) per corruzione in una inchiesta romana sull’interessamento dell’immobiliarista Stefano Ricucci e dell’ex presidente Confcommercio Sergio Billè a una gara del 2004 per il patrimonio immobiliare dell’Enasarco. Gismondi, nei mesi successivi alle sue deposizioni sul caso Ligresti, ha avuto differente trattamento tra Milano, dove figura come testimone nell’inchiesta conclusasi 14 giorni fa con il deposito degli atti fondanti l’incriminazione dell’ex presidente dell’Isvap Giancarlo Giannini per l’ipotesi di corruzione ad opera di Salvatore Ligresti, e Torino, dove su segnalazione della Consob è stato poi indagato dalla Procura per concorso nel falso in bilancio dei Ligresti, nel presupposto che insieme ai revisori abbia attestato la congruità di «riserve sinistri» che pur avrebbe saputo sottostimate per 600 milioni.
Attuario per la revisione contabile di Unipol e consulente di Fonsai nella messa a punto dei concambi, in uno degli interrogatori di fine estate 2012 Gismondi rievoca dunque un incontro casuale avuto con Peluso pochi giorni prima, all’inizio di ottobre, allorché si era recato in Telecom (dove Peluso era appena arrivato come direttore finanziario) per parlare con l’allora amministratore di Telecom Media, Gianni Stella.
È in questo frangente che, a dire di Gismondi, Peluso gli avrebbe motivato l’uscita dal gruppo assicurativo dei Ligresti con la propria paura di essere ancora in carica (e dunque potenzialmente coinvolto da iniziative giudiziarie) nel momento in cui i concambi della fusione con Unipol fossero stati cristallizzati con le irregolarità alle quali (sempre a dire di Gismondi) Peluso accennava riguardo le procedure in corso. Soprattutto perché — sostiene Gismondi riportando le asserite parole di Peluso — la banca d’affari Goldman Sachs in quel periodo si sarebbe impegnata per discostarsi dalle valutazioni di Gismondi e di Ernst & Young, i quali stimavano un patrimonio netto negativo di Unipol se calcolato con il metodo valutativo più comune: tentativo di abbellimento allo scopo — ancora una volta prospettato da Peluso secondo la deposizione di Gismondi — di poter poi assicurare a Unipol un più favorevole concambio nella fusione.
In attesa che l’inchiesta metta a fuoco i contorni del colloquio, già da questi pochi passaggi si intuisce che essa sta inquadrando non solo il ruolo dei Ligresti, ma anche il problema dei concambi della fusione, influenzato tra l’altro dalla complessa questione della valutazione dei derivati in pancia a Unipol. Nei documenti della fusione, la compagnia ha comunicato che, «a fronte di un valore di bilancio al 30 giugno 2013 di 5,198 miliardi di titoli derivati, il valore di mercato si attestava a 4,767 miliardi»; e che «non si può comunque escludere che, all’esito delle verifiche in corso di Consob, siano richiesti adeguamenti alle metodologie di pricing utilizzate e che a tali adeguamenti possano conseguire impatti sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria consolidata della società risultante dalla fusione». Pochi giorni fa, illustrando il rendiconto di nove mesi del 2013, il numero uno di Unipol, Carlo Cimbri, ha poi rimarcato come «dall’inizio dell’anno l’esposizione ai titoli ristrutturati» si fosse «ridotta di 1 miliardo, a 6,63 miliardi a valore di carico», contabilizzando «plusvalenze per 40 milioni».
Luigi Ferrarella


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