Chiamate e trattative, il giorno più lungo
ROMA — I numeri per approvare un documento contro la Cancellieri c’erano tutti. Renziani, civatiani, prodiani, giovani turchi… E anche i seguaci di Cuperlo, per paura di essere scavalcati a sinistra dai deputati vicini al sindaco, se messi alle strette avrebbero mollato al suo destino il Guardasigilli, chiedendole ufficialmente un passo indietro. E così, in un clima da psicodramma collettivo paragonabile solo ai giorni da incubo dei 101 franchi tiratori, si è deciso che l’unica via percorribile fosse quella di scongiurare la conta auspicata da Renzi.
Ore nervose, un incrocio di incontri e telefonate tra Nazareno e Palazzo Chigi e alla fine Enrico Letta ha raccolto il pressante invito di Epifani e compagni. Ci ha messo la faccia, a dispetto del quasi-segretario del Pd che gli aveva consigliato di non farlo. Alle nove della sera, di ritorno dalla Sardegna dove ha trovato «una situazione terribile», il premier ha preso la parola all’assemblea del gruppo. Ha drammatizzato i toni e blindato con tutta la sua forza il Guardasigilli: «So che ci sono differenze, ma questo è un passaggio politico a tutto tondo. Mi appello al senso di responsabilità collettivo, la nostra unità è l’unico punto di tenuta del sistema politico… Un voto di sfiducia al ministro è un voto di sfiducia al governo». E poi, per convincere anche i più recalcitranti: «La mozione di sfiducia è frutto di una campagna aggressiva molto forte e slegata dal merito. È un attacco politico al governo. E la risposta deve essere un atto politico, un rifiuto». Una mossa inevitabile, di fronte a un partito (il suo) compatto quasi come una testuggine sulla linea delle dimissioni. Per dire quanto alta sia, tra i democratici, l’onda di fastidio e imbarazzo, basta ricordare che Epifani ha scelto di non presentare una sua proposta in assemblea. E che persino Beppe Fioroni, schierato con Letta, lasciava trapelare un filo di disagio: «Il comportamento della Cancellieri è stato ispirato a fenomeni affettivi e amicali». Deve dimettersi? «Sta a lei valutare l’opportunità di farlo». Suoni flautati, rispetto agli acuti che per tutto il giorno si sono alzati dal gruppo del Pd in direzione via Arenula. Per Angelo Rughetti, renziano solitamente cauto, «è la fotocopia del caso Alfano, con Letta che blinda il ministro e pone la fiducia sul governo, perché questo vuole Napolitano».
In questo clima, l’assemblea inizia senza un finale già scritto. Un’intesa per evitare il voto c’è, raggiunta faticosamente dopo trattative tese e serrate: la telefonata fra Letta e Renzi, l’incontro del premier con il capogruppo Roberto Speranza, i contatti tra Epifani e Palazzo Chigi e il confronto continuo con il Quirinale. Ma non può essere un’intesa a prova di bomba, visto il ribollire di umori negativi condivisi da tutte le anime. Ecco perché Letta decide di calcare con tanta forza gli accenti. «Dovrebbe dimettersi ma siamo responsabili — prende atto Cuperlo fra gli applausi degli anti-renziani —. Non è accettabile che qualcuno si assuma la responsabilità di una mozione di sfiducia a mezzo stampa e tv senza parlare nelle sedi di partito». Attacca il sindaco e critica anche Delrio: «Ci sono ministri che dicono no alle dimissioni ma sostengono un candidato che le chiede, da fuori… Che gioco è?». E un Gentiloni rammaricato bolla come «inaudito» il comportamento del ministro: «Resta l’obiettivo di ottenere le dimissioni dopo aver respinto l’attacco politico».
L’ordigno che preoccupa fino a sera il fronte governativo è l’ordine del giorno dei renziani rimasto nel cassetto, con l’esplosiva richiesta di dimissioni. Il sindaco ha preteso che Letta si facesse garante della Cancellieri e c’è persino chi, tra i deputati a lui vicini, spera ancora che Franceschini ponga la questione di fiducia sul voto di oggi in Aula, per disarmare i franchi tiratori. Pina Picierno non vuole ingoiare il rospo: «Sono furibonda». Sandra Zampa è tra i 9 che hanno firmato con Pippo Civati per la sfiducia: «Mi hanno lasciato solo. Ma non può finire con un western tra me e la Cancellieri». Per Matteo Orfini «il ministro ha avuto rapporti inquietanti con la famiglia Ligresti, la sua permanenza al governo è inopportuna». E Marina Sereni, vicepresidente della Camera, ritiene che la vicenda Fonsai abbia «offuscato e indebolito» la Cancellieri. Bersani è scuro in viso: «Renzi? Ognuno si assume le proprie responsabilità». Ed Ernesto Carbone, il primo renziano ad aver chiesto la sfiducia: «Se devo adeguarmi lo faccio, ma non votare al gruppo è folle». Speranza e Franceschini, a pranzo, hanno discusso a lungo su chi dovesse aprire l’assemblea, poi è stato il capogruppo a introdurre Letta: «Era necessario un momento di confronto con il premier perché il passaggio è delicato…».
Monica Guerzoni
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