by Sergio Segio | 18 Novembre 2013 6:53
NEW YORK — Siamo almeno 19 milioni, coinvolti in una crisi di panico. Questa è la “platea” immediatamente colpita dal disastroso esordio di Obama-care, la riforma sanitaria Usa. Per la precisione, mentre scrivo siamo in 19 milioni a non poter sapere se dall’inizio dell’anno prossimo avremo un’assistenza sanitaria, a quale prezzo, con quali prestazioni. Mancano solo 44 giorni alla fine dell’anno, e l’incertezza su un aspetto fondamentale della nostra vita dà la dimensione di questa crisi. Dietro di noi, altri 25 milioni di americani vivono in un limbo di disinformazione, dubbi, incognite. Obama-care è il nomignolo affibbiato all’Affordable Care Act, letteralmente la “legge per la salute alla portata di tutti”. Firmata da Barack Obama il 23 marzo 2010. La più grande riforma sanitaria dal 1965, quando furono creati Medicare e Medicaid, due sistemi pubblici tuttora esistenti per l’assistenza agli anziani over-65 e per i più poveri.
Il primo flop di Obama-care è informatico: il più evidente, non necessariamente il più grave. Seguono un disastro organizzativo, economico-sociale, politico. Partiamo dalla tecnologia. Obama ci aveva promesso che comprare una polizza sanitaria sarebbe diventato facile quanto comprare un biglietto aereo low-cost usando i siti Internet (come Travelocity, Orbitz) che mettono a confronto tariffe, orari, itinerari delle diverse compagnie aeree. Una “Borsa” online per garantire trasparenza, dare forza al paziente- consumatore, far leva sulla concorrenza tra le compagnie assicurative. Il sistema informatico che doveva gestire questo flusso di domande ha fatto crac, dal primo ottobre la task force informatica della Casa Bianca e della Sanità sta lavorando ad aggiustarlo, ma le promesse di darci un sito funzionante entro fine novembre sono già state rimangiate. Poi c’è un flop organizzativo che chiama in causa anche le assicurazioni. È quello che colpisce più direttamente “noi 19 milioni”: il popolo degli assicurati individuali, che comprano da soli l’assistenza sanitaria anziché ottenerla collettivamente dal datore di lavoro. Smentendo una promessa solenne di Obama, molti fra “noi 19 milioni” stanno ricevendo lettere di disdetta delle assicurazioni. Le nostre vecchie polizze non valgono più ma sui costi delle nuove siamo al buio. Per situare la dimensione della crisi, qualche numero. Oggi l’80% degli americani ha un’assistenza sanitaria assicurata. Solo il 54% la ottiene attraverso il datore di lavoro (il che non significa “gratis”, c’è un prelievo in busta paga). Solo il 29% la ottiene dallo Stato, cioè col Medicare o il Medicaid.
La riforma di Obama ha nobilissimi obiettivi. Alza la soglia del Medicaid fino al 133% del livello di povertà. Offre sussidi pubblici (parziali) per chi deve comprarsi l’assicurazione da sé, e questi aiuti arrivano fino ai redditi quattro volte superiori alla soglia della povertà. È fatto divieto alle compagnie di negare l’assicurazione ai malati, pratica diffusissima nel sistema precedente (potevano respingere chiunque avesse una “patologia pre-esistente”!). Sono fissati degli standard minimi di prestazioni che devono essere rimborsate (mai integralmente, però). Scatta un obbligo di assicurazione che grava sui datori di lavoro, ma solo per le aziende sopra 50 dipendenti a tempo pieno (un incentivo perverso a moltiplicare i contratti part-time). Quei 19 milioni che devono comprarsi individualmente una polizza sono tenuti a farlo, pena una sanzione.
Contro questa riforma si sono scatenate diverse guerre di resistenza.
La destra repubblicana l’ha combattuta ideologicamente. Il Tea Party inventò lo spauracchio delle “commissioni della
morte”: burocrati federali incaricati di razionare le cure agli anziani, l’eutanasia di Stato per ridurre i costi. Una balla gigantesca, ma servì a far vincere le elezioni del 2010 ai repubblicani. Poi è scattata la guerra religiosa contro l’obbligo alle assicurazioni di rimborsare cure contraccettive. Molti Stati governati dai repubblicani stanno sabotando la riforma, rifiutano di estendere il servizio pubblico Medicaid, o di creare Borse online locali.
Il caos organizzativo è nella complessità di una riforma che la stragrande maggioranza degli americani non capisce. Esistono siti che mi aiutano a calcolare quanto la riforma mi costerà personalmente. Ma devo inserire un’infinità di dati: nucleo familiare, età, reddito, tipo di lavoro e dimensioni dell’azienda, se ero o non ero precedentemente assicurato, in quale Stato Usa sono residente. Un labirinto angosciante. Tra i sabotatori, una parte si annidano fra quei 25 milioni di “mai-assicurati-prima”: ci sono giovani sani che fatti i calcoli in tasca propria preferiscono rischiare e non assicurarsi; forse gli converrà perfino pagare la multa di Obama e rimanere ancora fuori del sistema. Soprattutto c’è un capitalismo sanitario privato, dalle assicurazioni agli ospedali, che ha accettò di “cooperare” con Obama sulla carta, a una sola condizione: non intaccare i propri margini di profitto, non aggredire le proprie inefficienze, non rivedere al ribasso i propri costi. Negli anni Novanta i coniugi Clinton tentarono una riforma più ambiziosa, per trapiantare in America un sistema di tipo europeo, unico e pubblico. Furono sconfitti al Congresso dalla lobby del capitalismo sanitario. Obama ha tentato forse l’unica riforma “politicamente” possibile. E ora quel realismo gli si ritorce contro: il disastro sanitario può costare caro al partito democratico nelle elezioni congressuali del 2014.
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