I Tir, la benzina più cara e i romeni I camionisti ora bloccano l’Italia

by Sergio Segio | 18 Novembre 2013 6:31

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E proprio in questi giorni tutte le organizzazioni dell’autotrasporto si stanno preparando a un fermo straordinario dei mezzi che inizierà il 9 dicembre e dovrebbe durare addirittura una settimana. Sarà una di quelle prova di forza che i governi di Roma hanno dovuto affrontare in diverse occasioni: è successo l’ultima volta a Mario Monti, era capitato a Romano Prodi ma non a Silvio Berlusconi. Ora Enrico Letta dovrà tentare di sminare un conflitto che rischia di mettere in ginocchio il Paese, replicando le scene che abbiamo visto in passato. Piazzole intasate, file di Tir ai valichi, impossibilità di viaggiare anche per i veicoli leggeri. In più stavolta il fermo dei padroncini ha già attirato l’attenzione di altri fronti della protesta antigovernativa, basta fare un giro della Rete per imbattersi nei siti del Fronte di liberazione dei banchieri, di Azione rurale, Agricoltori e Dignità sociale, Non vogliamo più pagare, Forza d’urto, Life, Cobas del latte e I forconi siciliani che si sono già dati appuntamento per il 9 al palazzetto dello sport di Bovolone, in provincia di Verona, per un’assemblea che si preannuncia decisamente calda.
Il fermo, che per una volta è stato indetto unitariamente da tutte le sigle (compresa l’Anita che rappresenta i grandi e aderisce a Confindustria), è contro la legge di stabilità che taglia all’autotrasporto all’incirca 330 milioni di contributi destinati al rimborso delle accise del carburanti ed altri fondi. Si tratta di quei trasferimenti dello Stato che sono serviti negli anni a mantenere il fragile compromesso con una categoria falcidiata dal prezzo del carburante, da una concorrenza selvaggia e poi messa definitivamente kappaò dalla Grande crisi. Se nel 2008 si immatricolavano in un anno oltre 22 mila veicoli pesanti adesso siamo passati a 9.500. Nel mondo dei Tir succede davvero di tutto, tre quarti delle 98 mila imprese ha meno di 4 camion, le loro organizzazioni si lamentano della benzina più cara e tassata d’Europa e devono far fronte alle aziende dell’Est europeo che hanno costi del carburante e dei dipendenti più bassi del 30 e del 40%. La vox populi parla di 25 aziendine al giorno che chiudono e nei giorni scorsi è accaduto un episodio limire: una ditta di Bologna ha perso una commessa importante e i titolari per poter espletare gli adempimenti burocratici legati alla chiusura hanno simulato un incendio cercando di speculare sulla polizza di assicurazione.
Nei racconti degli uomini dei Tir il nemico è il camionista rumeno che viene assunto dalle ditte italiane ma costa 10 mila euro in meno l’anno ed è disposto a qualsiasi orario pur di non perdere l’impiego. E anche nel film di Fasulo il protagonista è Branko, un ex insegnante croato riscopertosi autista per poter lavorare in Italia. In molti riferiscono che i padroncini sono bombardati di telefonate da parte di società di lavoro interinale che operano tra l’Italia e l’Est europeo e offrono consulenza piena. Propongono ai nostri piccoli imprenditori di chiudere l’azienda e licenziare i loro dipendenti, riaprire a Timisoara o a Bucarest riassumendo gli stessi camionisti che avevano dismesso. Lo stipendio resta quello italiano ma la contribuzione viene ridisegnata secondo la legge romena. Risultato: quei camionisti non avranno mai la pensione ma intanto proprio di recente un’organizzazione datoriale, la Unital, ha aperto la sede in Romania. Per tutti questi motivi il settore si presenta come una bomba a orologeria, le regole non valgono più, l’abuso delle normative europee sui lavoratori transfrontalieri non fanno nemmeno più notizia e le infiltrazioni criminali sono rese più facili dal clima di Far West.
L’autotrasporto farà la fine della logistica, si sente dire, e il riferimento a ciò che sta capitando tra gli spedizionieri. In questo settore strategico e moderno (basta pensare al boom dell’e-commerce) la manodopera italiana è ormai in netta minoranza e i facchini sono per lo più nordafricani che si dividono le zone per nazionalità (in Veneto sono per lo più marocchini) e che, secondo quanto dichiarato dai rappresentanti della Cgil, vengono reclutati dagli imam nei Paesi di provenienza. In questa situazione, caratterizzata da condizioni di vita proibitive, turni massacranti e ricorrenti violenze sui luoghi di lavoro, i Cobas sono riusciti a scalzare Cgil-Cisl-Uil che faticano anche ad avere persino l’agibilità politico-sindacale. E così capita di tutto, nel silenzio generale: nei giorni scorsi la sede romana dell’organizzazione degli imprenditori del settore, la Confetra, ha subito l’incursione di un commando del collettivo Militant che ha scaricato immondizia, imbrattato i muri e poi ha rivendicato l’azione pubblicando il filmato su Internet.

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