Il «banchiere di Lula» evita le manette e scappa in Italia

by Sergio Segio | 17 Novembre 2013 8:23

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RIO DE JANEIRO — Ci sono voluti otto anni, ma alla fine sono arrivate le manette. Undici tra politici e manager brasiliani sono stati arrestati alla fine del lungo iter processuale nello scandalo di corruzione avvenuto nel primo governo Lula. Meno uno, che si è rifugiato in Italia.
Noto come mensalão , il caso esplose quando si scoprì che l’esecutivo e il Partito dei lavoratori avevano dirottato fondi pubblici nelle tasche di alcuni deputati e leader di altri partiti, per convincerli a schierarsi con la maggioranza. Il nome più eclatante è quello di José Dirceu, braccio destro di Lula e primo ministro all’epoca dei fatti. Ideatore della truffa, secondo i giudici, dovrà scontare 7 anni e 11 mesi, ma con il permesso di lavoro esterno. Quattro anni e 8 mesi sono stati inflitti invece a José Genoino, ex segretario del partito di Lula. L’esecuzione delle pene era stata richiesta a gran voce nelle manifestazioni popolari dei mesi scorsi in Brasile, mentre gli avvocati degli imputati continuavano ad ottenere proroghe (lo scandalo esplose nel 2005).
Un caso a parte è quello dell’ex direttore marketing del Banco do Brasil, Henrique Pizzolato. Condannato a 12 anni e sette mesi non è stato rintracciato ieri dalla polizia, andata ad arrestarlo a casa sua, a Rio de Janeiro. Pizzolato difatti è fuggito in Italia, dove si sente al sicuro avendo in tasca anche il nostro passaporto. Discendente di emigranti, ex sindacalista del gruppo di Lula, ha gestito per anni l’enorme budget di pubblicità e marketing della più grande banca pubblica brasiliana. Dalle cui casse sono usciti alcuni dei fondi che sono andati a foraggiare la politica.
Pizzolato, a quanto pare, ha lasciato di nascosto il Brasile un mese e mezzo fa, passando la frontiera con il Paraguay. Da lì potrebbe aver usato il documento italiano per varcare l’oceano. Ieri si è fatto vivo attraverso un avvocato, dichiarandosi vittima di un sistema di persecuzione orchestrato dai media e chiedendo di essere sottoposto a nuovo processo in Italia. «Ho deciso di far valere il mio legittimo diritto alla libertà», scrive Pizzolato. Quella di un nuovo processo è una delle possibilità aperte dai trattati tra i due Paesi, mentre è remota l’ipotesi che l’Italia possa concedere l’estradizione di un proprio cittadino. La nostra giustizia la negò in un caso simile, quello del bancarottiere brasiliano Salvatore Cacciola, anche lui con doppio passaporto e rifugiatosi a Roma nel 2000 dopo una condanna a 13 anni. Da allora, oltretutto, c’è stato il caso di Cesare Battisti, con il lungo duello tra Italia e Brasile che non ha lasciato certo relazioni idilliache tra i due sistemi giudiziari. Pizzolato ne ha sicuramente tenuto conto al momento di fuggire.

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