«È un sabotaggio». «Usurpatori» Scelta civica, si consuma il divorzio

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ROMA — «Guerrafondai». «Traditori». «Usurpatori». «Sabotaggio». «Riunione truccata». Pochi minuti dopo il gong già volano le suppellettili nella sala delle «Carte geografiche», dove i montiani e i ribelli di Mario Mauro si sono dati appuntamento alle 15.30, per l’ultima volta. L’assemblea nazionale, la prima nella breve storia di Scelta civica, comincia in ritardo e finisce subito. Grida e insulti e minacce e reciproche accuse, che stridono un po’ con gli angioletti d’oro affrescati sulle pareti e con il rango dei litiganti: professionisti e industriali di successo, parlamentari, pezzi grossi delle istituzioni.
I «popolari» del ministro Mario Mauro abbandonano la riunione e si preparano a battezzare i nuovi gruppi parlamentari. «È un oltraggio, ci hanno sbattuti fuori», saluta Andrea Olivero. Mentre Mario Monti resta impassibile al suo posto di prima fila, spalle alle telecamere, senza voltarsi mai, nemmeno per assistere alla scena madre del divorzio. «Io non ripudio il legame con Scelta civica», dirà dal palco tra gli applausi il senatore a vita. E a sera, bilancio amaro e polemico: «Mi spiace che alcuni abbiano preferito la ritirata, spero non capeggiata dall’assente ministro della Difesa, a una civile battaglia delle idee per il timore di perderla».
Mauro finge di non sentire e tira dritto per la sua strada, quella del «cantiere» con l’Udc di Casini e in prospettiva con i dissidenti di Alfano della nuova forza politica che ha delineato nella mozione per l’Assemblea: «Berlusconi e Monti si tengano le loro scialuppe, noi costruiremo una grande nave». Chi l’ha voluta, la scissione? La parola fine, quella che chiude una storia e ne apre un’altra (anzi due) nessuno la pronuncia, eppure la rottura appare insanabile. «Dopo quell’assemblea di cooptati non siamo più un partito sotto il profilo democratico, adesso ognuno cerchi la propria strada» mette il sigillo alla separazione Mauro. Quando lo strappo si consuma il ministro è a Palazzo Chigi, ma la portavoce Roberta De Marco spunta in platea e spiega ai giornalisti: «Non può venire, è impegnato con Letta e Bonino… Ma il regista dell’operazione è lui».
È a questo punto che scoppia la rissa, è quando Gregorio Gitti, schierato con i ribelli, ruba la parola dal palco al presidente Alberto Bombassei e contesta la proposta di regolamento presentata dai montiani. Dice che il documento non è mai stato discusso e che il voto per delega è una deroga allo statuto: «Qui ci sono degli usurpatori e noi ce ne andiamo, Scelta civica è morta». Chi si alza, chi grida «vergogna!», chi si lascia scappare un energico «vaffa»… Mario Marazziti corre sotto il tavolo della presidenza e arringa la platea senza microfono: «Lascio questo vostro club poco democratico. È finita nel modo peggiore e mi dispiace per Monti, che si è affidato ai professionisti della politica, Causin e Della Vedova». I popolari se ne vanno, gridando contro la «dittatura» di Monti. «Guerrafondai!» è l’addio dell’onorevole Librandi a Olivero, Dellai e Mauro. E Gianluca Susta: «Una gazzarra studiata a tavolino».
Il documento della discordia passa con 42 sì su 81 aventi diritto, dopodiché i montiani ribaltano le accuse. Dicono che i ribelli hanno «sabotato» l’assemblea per innescare la scissione. «Provocatori… Che tristezza — abbassa il sipario Benedetto Della Vedova —. Erano in minoranza e hanno fatto saltare il banco».
Monica Guerzoni


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