L’ira di Letta : di rigore si può anche morire
ROMA — «Una visione notarile, burocrati con la calcolatrice». La prima reazione a caldo del presidente del Consiglio Enrico Letta contro le critiche della Commissione alla legge di Stabilità non va troppo per il sottile. Prevale l’ira, l’amarezza e anche la preoccupazione che se Bruxelles procede sulla strada dell’austerità «alle prossime elezioni vinceranno gli euroscettici populisti, da Marine Le Pen a Grillo». Per il premier Bruxelles non ha tenuto conto delle privatizzazioni per le quali entro dicembre arriverà un piano operativo «che non guarderà in faccia a nessuno, soprattutto a chi nella maggioranza finora le ha osteggiate». Così come hanno tralasciato di contabilizzare i benefici derivanti dal rientro dei capitali, dalla spending review, e dalle decine di miliardi iniettate nell’economia con lo sblocco dei debiti della pubblica amministrazione.
Successivamente, in video collegamento con la Fondazione Merloni a Fabriano, Letta usa parole più meditate ma sempre molto critiche contro quella che per lui «non è una bocciatura, ma una posizione su cui voglio esprimere alcune riflessioni». La prima è contro questa Unione europea dove «troppo rigore fine a se stesso finirebbe per soffocare la ripresa e sarebbe un errore». La seconda è contro la Germania. «Ai tedeschi ho detto — ricordando il suo discorso fatto l’altro giorno a Berlino alla Spd — che se continuate su questa strada, continuerete a essere forti ma avrete attorno un deserto e vi indebolirete anche voi con l’intera Europa». Venerdì prossimo tornerà a Berlino per un forum organizzato dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung e quella sarà l’occasione per massaggiare di nuovo la politica economica sbagliata della Merkel. Il presidente del Consiglio ha poi difeso la sua manovra, dicendosi sicuro dei conti fatti dal Tesoro e che il «pacchetto privatizzazioni» frutterà sin dal 2014 svariati miliardi di euro che «renderanno possibile l’utilizzo degli investimenti produttivi in deroga». Si è detto «tranquillo», ha riconosciuto che il «debito è alto ma sta scendendo come dimostrano i tassi di interesse e questo mi incoraggia».
L’entourage del governo ha fatto quadrato intorno a Letta, con il viceministro all’Economia Stefano Fassina che auspica che «la Commissione faccia po’ di autocritica» e il responsabile economico del Pd Matteo Colaninno che esclude «il bisogno di una nuova manovra». Ma è emersa anche qualche punzecchiatura. Romano Prodi, anche lui a Fabriano per i 50 anni della Fondazione Merloni, ha riconosciuto che «l’esecutivo Letta è impegnato sulle riforme ma c’è anche qualche momento in cui bisogna litigare». Insomma farsi sentire in Europa con più vigore «perché se non cambiano alcuni parametri, la crisi durerà parecchi anni». I famosi pugni sul tavolo europeo che né il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni né quello degli Affari comunitari Enzo Moavero forse non hanno «sbattuto» a sufficienza preferendo un approccio più soft e diplomatico. A Palazzo Chigi vengono comunque smentite le voci di una certa insofferenza di Letta verso i due ministri. Di certo nei prossimi giorni il clima con «i notabili e i burocrati con la calcolatrice» è destinato a cambiare.
Anche perché l’inquilino di Palazzo Chigi sta lavorando da tempo proprio per aumentare la massa critica dei Paesi contro la linea tedesca del rigore e per far spostare il pendolo verso la crescita e lo sviluppo. Ma i problemi il premier li ha anche in casa. Il capogruppo alla Camera e responsabile economico del Pdl Renato Brunetta continua a bombardare ad alzo zero Saccomanni. Ieri se l’è presa pure con Letta colpevole di aver scoperto gli errori dell’austerità «a scoppio ritardato». Poi ci sono le parti sociali ancora indispettite per le scarse risorse dedicate al taglio del cuneo fiscale sul lavoro e nettamente contrarie alla visione ottimistica del governo sulla «ripresa in arrivo». Lunedì Cgil, Cisl e Uil si incontreranno per decidere come proseguire la mobilitazione contro la legge di Stabilità.
Roberto Bagnoli
Marco Galluzzo
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