by Sergio Segio | 14 Novembre 2013 10:39
Alfano rigetta l’ultimo tentativo di mediazione offerto da Berlusconi al termine di una nuova giornata campale, fitta di vertici e assemblee che disegnano la geografia di due partiti ormai distinti.
MA L’ULTIMA parola non è ancora scritta. Sono le 21 quando il vicepremier varca per l’ennesima volta il portone di Palazzo Grazioli. Ha da poco concluso l’assemblea nei locali della Camera di via della Mercede alla quale prende parte la cinquantina tra senatori e deputati intenzionati a confermare la fiducia al governo. Conclusa con un solo punto fermo: la richiesta a Berlusconi che rinvii «motu proprio », per dirla con il senatore Paolo Naccarato, il Consiglio nazionale di sabato che si preannuncia fin d’ora una resa dei conti da sangue e arena.
Alfano al Cavaliere si presenta con un ramoscello d’ulivo, in una mano, e con un foglietto con tre condizioni ben sottolineate, nell’altra. È il mandato che ha ricevuto dagli altri colleghi ministri, Lupi, Quagliariello, De Girolamo e Lorenzin: se davvero quella sorta di congresso si dovesse tenere, allora il leader dovrà confermare la sua fiducia al governo del 2 ottobre, dunque niente crisi anche in caso di decadenza, tenendo ben distinti i due piani. Punto secondo, garantire equilibrio ai vertici del nuovo partito, ovvero
prevedere due coordinatori (oltre alla carica di vicepresidente per lo stesso Alfano): uno in rappresentanza dei “lealisti”, uno degli “innovatori”, che avranno pari poteri al momento della stesura delle liste elettorali. Via libera al passaggio a Forza Italia, ma i governativi non possono accettare il semplice azzeramento di tutte le cariche e il potere monocratico nelle mani di Berlusconi. «Se così fosse — ragiona il ministro dell’Interno a margine dell’assemblea coi suoi parlamentari, prima di raggiungere Palazzo Grazioli — finiremmo tutti nelle mani di Verdini e della Santanché e saremmo rasi al suolo». Dunque, se prima dell’appuntamento di sabato non sarà siglato un accordo su questi due snodi, allora i ministri e i loro parlamentari non si presenteranno nemmeno all’appuntamento di dopodomani. Ma soprattutto, «la scissione e la creazione dei nuovi gruppi sarà immediata», è l’avvertimento. Che poi, intenzionati a dare forfait comunque sono in tanti, da quella parte. Convinti che Berlusconi abbia deciso già di fare piazza pulita di tutti i senatori e i deputati in carica, per lasciare spazio alle nuove leve. Per loro non ci sarà più spazio. Quagliariello, Sacconi, Cicchitto sono tra coloro che avrebbero pure scelto di disertare la kermesse da one man show di sabato all’Eur. Ma ci sono dei passaggi da consumare prima.
Al faccia a faccia con Angelino, in realtà, Berlusconi si è presentato con una proposta di mediazione. L’hanno battezzata
«mozione Capezzone», maturata al termine del tribolato vertice andato in scena a ora di pranzo a Palazzo Grazioli e durato oltre tre ore. Il capo, che in mattinata aveva già ricevuto per due ore il ministro Nunzia De Girolamo, incontra assieme a Gianni Letta i falchi Santanché e Verdini, il lealista Fitto, i mediatori Paolo Romani, Altero Matteoli e Maurizio Gasparri. «Io ho bisogno di tenere il partito unito fino alla decadenza, dovete farvene una ragione» è la sua tesi. E l’escamotage ideato, col concorso di Capezzone appunto, sarebbe quello di annunciare in Consiglio nazionale il passaggio a Forza Italia, rivendicare i valori di libertà e le
origini del ’94, ma sorvolando sul governo e sulla sua decadenza. «Farò un discorso alto» spiega ai commensali. Suscitando le ire di falchi e di Fitto in particolare: «Sono dei traditori e se tu accetti di spostare il Consiglio nazionale ti consegni mani e piedi ai carnefici». Di più. I lealisti, pretendono che sabato si vada alla resa dei conti. Proprio su governo, legge di stabilità e decadenza, gli scogli che il Cavaliere vorrebbe prudentemente schivare. Ma su questa linea Berlusconi sembra abbia tenuto il punto, ribattendo a muso duro: «È da vent’anni che medio, lo devo fare e lo farò anche questa volta». In mattinata lo aveva colpito il documento con
cui si era presentata a Palazzo il ministro De Girolamo, finora la più vicina dei cinque al leader. Sostegno al Berlusconi leader ma anche al governo, firmato da 250 tra sindaci, assessori, consiglieri del Sannio. Non sarà stato quello l’ago della bilancia. Ma è ai numeri che guarda in queste ore l’ex premier. «Quanti sono con me, quanti contro di me?» E nella caselle degli avversari ormai inserisce tra i tanti anche il ministro Quagliariello, «che continua a rilasciare interviste contro di me anche ai giornali dei comunisti, sono colombe con gli artigli, di loro non posso più fidarmi. Se hanno deciso di andare, alla fine vadano pure».
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