Frode fiscale per Apple si indaga su un’evasione da più di un miliardo

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MILANO — La cifra, un miliardo di euro, farebbe tremendamente gola alle esangui casse dello Stato. E se si dovesse arrivare magari a una condanna, l’Erario potrebbe anche pensare di metterci le mani sopra. Per adesso è un’ipotesi d’accusa formulata dalla procura di Milano nei confronti di due manager della Apple Italia, il colosso informatico di Cupertino fondato dallo scomparso Steve Jobs. L’ipotesi — anticipata dal settimanale l’Espresso in edicola da oggi — è quella di «dichiarazione fraudolenta» dei redditi per gli anni 2010 e 2011. Apple Italia, secondo l’ipotesi del pm Antonio Scuderi, avrebbe sottostimato di 206 milioni di euro circa l’imponibile fiscale nel primo anno di dichiarazione dei redditi. Di oltre 853 milioni per quello successivo, sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili e avvalendosi di mezzi fraudolenti tesi a ostacolarne l’accertamento.
Non è la prima volta che la Apple finisce nei guai con il fisco italiano. Negli anni scorsi, il pm Carlo Nocerino aveva avviato un’indagine con gli stessi presupposti, che però si concluse con una archiviazione. Ora, i nuovi accertamenti,
arrivati in procura dopo una segnalazione dell’ufficio delle Dogane. Il pm ipotizza che i profitti realizzati in Italia da Apple siano stati contabilizzati dalla società di diritto irlandese Apple Sales International, seguendo uno schema molto diffuso anche da altre multinazionali dell’hitech e di internet, grazie al quale questi gruppi riescono a pagare tasse risibili sui loro enormi profitti, approfittando di una serie di norme nella legislazione irlandese che, di recente, sono state messe sotto osservazione anche dall’Unione europea. Apple, in soldoni, secondo l’accusa avrebbe applicato alle proprie attività italiane la fiscalità irlandese nettamente più favorevole economicamente, sottraendo al fisco un miliardo e 60 milioni di euro. Una sorta di quella che, in termine tecnico, si chiama “esterovestizione”. Lo stesso meccanismo sta alla base della condanna in primo grado riservata ai fondatori della griffe Dolce & Gabbana. I due stilisti siciliani, infatti, sono stati condannati dal Tribunale a un anno e otto mesi per aver trasferito in Lussemburgo le sedi delle proprie società, pur avendo sempre mantenuto la propria operatività su Milano. Originariamente, la presunta evasione di D&G si aggirava come per il caso Apple sul miliardo di euro.
Nei giorni scorsi, la procura ha ordinato una serie di perquisizione negli uffici della Apple a Milano, nella sede di piazza San Babila, dove sono stati prelevati «materiali informatici e telefonici», ricorda l’Espresso. Il provvedimento di sequestro è stato impugnato al Tribunale del Riesame dall’ex Guardasigilli, Paola Severino, che difende la società di Cupertino.


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