Lavoro, sanità, scuola: per gli stranieri discriminazione ”istituzionale”

by Sergio Segio | 13 Novembre 2013 15:29

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ROMA – Sottoinquadrati a livello lavorativo, poco seguiti a scuola, esclusi dall’erogazione di prestazioni di welfare: dai bonus bebè ai contributi per la casa, alle prestazioni sanitarie anche in presenza di disabilità. La discriminazione anche giuridico-istituzionale è una costante ricorrente per i cittadini stranieri che vivono nel nostro paese. Una realtà che viene messa in luce quest’anno anche dal dossier statistico immigrazione 2013, che allo stigma e al razzismo dedica un focus consiste. Il rapporto è infatti realizzato da Idos per Unar, l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.

Diversi sono gli effetti discriminatori riconducibili all’azione delle istituzioni pubbliche. Il dossier ricorda che i giudici di merito e la stessa Corte costituzionale si sono pronunciati su diverse fattispecie di esclusione dei cittadini stranieri, in particolare rispetto all’erogazione di prestazioni di welfare, ma non solo: il bonus bebè; il contributo per chi vive in case in affitto; le prestazioni sanitarie e in caso di disabilità; l’assegno per le famiglie numerose; l’iscrizione anagrafica; l’accesso al pubblico impiego; l’accesso alle libere professioni; l’ammissione al servizio civile.

Inoltre, la pesantezza della burocrazia è essa stessa inquadrabile come una forma di discriminazione. A sciogliere alcuni di questi nodi, è intervenuta la legge europea 2013 (n. 97/2013), che ha sancito che non devono sussistere ostacoli per l’accesso al pubblico impiego (per posizioni che non comportino l’esercizio dei pubblici poteri) dei titolari di permesso di soggiorno CE, dei familiari di cittadini Ue, dei rifugiati e dei titolari di protezione sussidiaria, così come nei loro confronti non possono essere applicate restrizioni, più o meno indirette, per l’accesso alle prestazioni assistenziali.

I rom. L’emblema dello stigma sono i cittadini di origine rom (circa 150 mila tra italiani e stranieri), additati come “abitanti dei campi”, “estranei”, “pre-moderni”. “Il presunto ‘buon senso’ con il quale ci si è rapportati alle loro comunità è stato ripetutamente censurato dai giudici e dagli organismi internazionali, che hanno ribadito come le condizioni di emarginazione e ghettizzazione in cui versano siano in contrasto con la garanzia dei loro diritti”, sottolinea il rapporto. La metà dei bambini rom lascia la scuola nel passaggio dalle elementari alle medie e sono solo 134 quelli iscritti nelle scuole superiori italiane (anche perché, nell’attuale contesto, molti si guardano bene dal dichiarare la loro origine).

La casa. Il dossier sottolinea inoltre che le compravendite immobiliari da parte di immigrati sono diminuite nettamente negli anni della crisi economica, passando da 135 mila nel 2007 a poco più di 45 mila nel 2012, soprattutto perché i mutui sono sempre più difficoltosi da ottenere e da saldare e coprono una percentuale ridotta del valore delle compravendite. Anche gli affitti, oltre a incidere per il 40 per cento sul reddito degli immigrati (per meno del 30 per cento tra gli italiani), si trovano con difficoltà e spesso nelle aree più degradate, con contratti non sempre regolari, e nell’insieme si stima che circa il 20 per cento degli immigrati viva in condizioni di disagio e di precarietà alloggiativa.

Il lavoro. Diversi i punti critici che caratterizzano anche l’inserimento nel mondo del lavoro: il sottoinquadramento, una condizione che riguarda il 41,2 per cento degli occupati stranieri; la diffusione del lavoro sommerso; l’acuirsi del lavoro sfruttato e paraschiavistico nonostante un elevato tasso di sindacalizzazione, il cui aumento sembra però essersi arrestato a causa della crisi (oltre 1 milione gli iscritti ai sindacati confederali, l’8,1 per cento di tutti gli iscritti); l’offerta prevalente di lavori a carattere temporaneo; il ridotto inserimento in posti qualificati; l’elevata incidenza degli infortuni (15,9 per cento del totale), la cui riduzione in valori assoluti sembra dovuta più al calo delle ore lavorate conseguente alla crisi che a una maggiore cultura della prevenzione (senza parlare dei cosiddetti “infortuni invisibili”, perché non denunciati: 164 mila in tutto secondo l’Inail).

La scuola. Negativo è anche il sistema scolastico per gli stranieri, soprattutto per la carenza di risorse economiche e professionali; di requisiti burocratici talvolta escludenti (la richiesta del codice fiscale anche per l’iscrizione, ad esempio, sfavorisce gli irregolari); carenza di interventi di sostegno per l’apprendimento della lingua italiana per i nuovi arrivati; orientamenti “selettivi” (con una presenza nelle scuole secondarie concentrata negli istituti tecnici e professionali nella misura dell’80,7 per cento); esiti insoddisfacenti, specialmente per gli studenti che non sono nati in Italia, nell’ammissione agli esami di scuola media (6,5 punti percentuali di meno rispetto agli italiani) e dispersione, sia nelle scuole medie (0,49 per cento rispetto allo 0,17 per cento degli italiani) che nelle secondarie superiori (rispettivamente: 2,42 per cento rispetto a 1,16 per cento).

La sanità. Secondo il dossier atti discriminatori si rilevano anche in campo sanitario. In Italia, infatti  solo 6, tra le regioni e le province autonome, hanno formalmente ratificato l’accordo, finalizzato a superare le disuguaglianze di accesso degli immigrati ai servizi sanitari. Ancora si riscontrano lentezze e indecisioni,  nell’iscrizione al Servizio Sanitario dei minori figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Un nodo irrisolto è anche quello dei minori comunitari in condizioni di fragilità sociale, non citati nel predetto accordo, ma che, secondo l’autorevole parere della Società italiana di medicina delle migrazioni, non possono essere trattati in maniera peggiorativa.

Le religioni. Per quanto riguarda l’appartenenza religiosa le maggiori difficoltà sono legate  alla disponibilità di luoghi di culto adeguati, ma non mancano le buone prassi di incontro, dialogo e collaborazione.. “Dopo reiterate proposte, ancora non si è giunti all’approvazione di una legge organica sulla libertà religiosa che superi la normativa del 1929 sui culti ammessi e le intese con le confessioni “diverse dalla cattolica” – si legge nel rapporto – l’Osservatorio sul pluralismo religioso, istituito presso il Ministero dell’Interno, attesta che sono 3.300 gli enti religiosi operanti in Italia, aumentati soprattutto a seguito della crescente immigrazione dall’estero (erano appena 500 nel 1997)”.

La quotidianità e lo sport. Nel quotidiano e nel mondo dello sport, infine, secondo l’Enar (European Network Against Racism), oltre alle discriminazioni dirette, è il caso di parlare di un razzismo quotidiano diffuso e crescente che consiste in atteggiamenti, comportamenti, modi di relazionarsi umilianti e inferiorizzanti. Si riscontrano atti di discriminazione nell’accesso ai pubblici esercizi, nonché una certa sovrarappresentazione statistica degli immigrati nel controllo dei documenti, nelle perquisizioni e nelle verifiche amministrative. In altri casi si parla di “razzismo utilitarista”, quello che porta ad accettare il cittadino straniero solo nella misura in cui “ci serve” e non avanza ulteriori esigenze. Non è esente dal razzismo il mondo dello sport. Nel campionato di calcio 2012-2013, ad esempio, sono stati 699 gli episodi di razzismo che hanno coinvolto le tifoserie (tra serie A, serie B, 1a e 2a divisione, Coppa Italia, Campionato Primavera e gare amichevoli), con ammende pari a quasi mezzo milione di euro e 29 società coinvolte. (ec)

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