Alfano: voglio davvero l’unità La crisi non aiuterebbe il Cavaliere

by Sergio Segio | 13 Novembre 2013 7:34

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ROMA — Lo scontro nel Pdl prosegue come una frase piena di virgole che non conosce il punto. Tocca a Berlusconi e Alfano scrivere quel punto, e tocca al vicepremier chiarire se crede davvero alla possibilità di una intesa in extremis o se quello che sta andando in scena è il classico gioco del cerino. «Io lavoro con convinzione all’unità. Ci sarebbe stata la possibilità di prendere, in un altro momento, un’altra decisione. Se non è andata così è perché conosco il presidente Berlusconi, ho lavorato al suo fianco per tanti anni e so qual è la missione che ha dato a se stesso: unire i moderati. Sono quindi convinto che farà di tutto per non dividere il suo partito. Rispetto a quanti vellicano il suo più che giustificato sentimento di indignazione, io mi rivolgo invece alla sua capacità di equilibrio, al suo buon senso, al suo profilo di uomo di Stato che lo hanno reso anche in politica il numero uno».
Sembrerebbe aver scelto, ponendo a voi ministri l’interrogativo: come si può stare nella stessa maggioranza con chi voterà per la mia decadenza?
«Le sue sono reazioni che anch’io avrei avuto di fronte alla somma ingiustizia che ha subìto. Fino all’ultimo comunque chiederemo al Pd di fermarsi sull’applicazione retroattiva della legge Severino. Ma noi non abbiamo preso un impegno con il Pd, bensì con gli italiani. Abbiamo preso parte a questa esperienza di larghe intese per volontà di Berlusconi, che nel suo discorso a Bari — mentre Bersani cincischiava con Grillo — disse: “O un esecutivo forte o elezioni”. E centrò l’obiettivo prioritario. Da allora c’è stato tanto Pdl nel governo: dalla riforma di Equitalia all’abolizione dell’Imu, all’ecobonus che ha rilanciato l’edilizia privata, senza considerare la linea di fermezza nella lotta all’immigrazione clandestina. E già oggi è chiaro cosa accadrebbe se non fossimo più al governo: da una nuova tassazione degli immobili, alla diminuzione nell’uso del contante, fino a una legislazione che aprirebbe in modo indiscriminato le nostre frontiere. È evidente che c’è molto da fare, ma è altrettanto evidente che gli approcci radicali servono solo per dire che gli impegni non sono stati mantenuti, e dunque rien ne va plus ».
Mentre lei tiene ferma la linea di salvaguardare il governo.
«Ma quale sarebbe l’altra linea? Solo gli ipocriti e i cinici non dicono che in caso di elezioni anticipate, semmai ci fossero, il presidente Berlusconi non sarebbe candidabile. Teorizzano elezioni al buio delle quali ci dovremmo assumere la responsabilità, senza poter disporre del nostro campione. E allora mi chiedo: chi offendo se sostengo tutto questo? Se è vero, com’è vero, che il caso Berlusconi giudiziariamente non è chiuso e potrebbe riaprirsi nel 2014, allora proprio lui nel 2015 potrebbe tornare in campo. Ecco perché credo ancora in una soluzione unitaria».
I lealisti sostengono che così voi innovatori state invece lavorando per gestire il tramonto del Cavaliere e garantirvi i suoi voti di qui al 2015, grazie all’intesa con Enrico Letta e sotto il patronato del capo dello Stato.
«Tante cose si sostengono sui lealisti, ma non sto qui a parlarne. Ipotizziamo comunque per un momento l’idea della rottura, se il Pd votasse la decadenza di Berlusconi. Chiedo: irrogata la sanzione al Pd con la crisi di governo, quale beneficio ne trarrebbero il Paese, il leader del Pdl e il suo partito? Senza considerare che una parte del Pd non considererebbe questa scelta una sanzione, ma un regalo. Perciò sono convinto che, emergendo ancora una volta il suo profilo da statista, il presidente Berlusconi — anteposti gli interessi del Paese e superato il suo legittimo sdegno — ci condurrebbe a vincere le Europee dell’anno prossimo, gettando le basi per un successo alle Politiche dell’anno seguente, senza bisogno di eredi. Ecco ciò che penso. Penso che l’agibilità politica di Berlusconi sarebbe garantita dalla sua leadership e da un partito unito. E il suo partito sarebbe lo scudo alla sua persecuzione giudiziaria. Sarebbe un patto di lealtà e di presenza, altro che testimonianza. Anche perché, al contempo, Berlusconi potrebbe ascrivere a suo nome la riuscita delle larghe intese — di cui è stato promotore — con la ripresa economica e le riforme costituzionali di cui il Paese ha bisogno, e che lui da sempre propugna. Con grande realismo, è ancora possibile costruire un percorso sotto il suo primato, che consenta di realizzare il programma del Pdl nel governo e garantisca la nascita della nuova Forza Italia, come modello di partito al cui interno convivono sensibilità diverse».
Ora tocca al leader decidere.
«Dinnanzi a una terribile realtà va deciso se sacrificare o meno il governo. Da aprile a oggi la risposta di Berlusconi è sempre stata no. Mentre nel partito c’è un’area che dice sì, ed è la stessa area che non voleva la nascita delle larghe intese e che in questi mesi non ci ha aiutato».
È consapevole che la rottura sarebbe esiziale per voi come per gli altri?
«Infatti non la voglio, non la cerco e non prendo in considerazione eventualità che non vorrei si verificassero».
Il premier non la sta aiutando nell’impresa, anzi: l’ultima battuta è stata sul «cupio dissolvi» di Berlusconi…
«Letta non ha e non deve avere alcun interesse alla frammentazione del nostro movimento».
In effetti i renziani stanno già dicendo che — qualora il centrodestra si rompesse — non avrebbe senso andare avanti con le larghe intese. In quel caso, quale notaio garantirebbe la tenuta del governo fino al 2015?
«In tutti i casi l’unico notaio è il buongoverno. E il buongoverno continuo a pensare che debba avere il sostegno politico e l’impulso del presidente Berlusconi».
Se è così, gli innovatori saranno presenti al consiglio nazionale? E quali garanzie chiedete per partecipare?
«Non abbiamo bisogno di garanzie, ma che venga tenuto fermo il discorso pronunciato dal nostro leader il 2 ottobre al Senato, avendo inoltre la certezza che la linea politica del partito non sia affidata a radicalismi, falchismi ed estremismi vari».
Ci sarete o no?
«Di sicuro non andremmo a rovinare la festa al nostro presidente, mentre tiene a battesimo la nascita della nuova Forza Italia. Confidiamo sia un giorno di festa per tutti».
E vorrebbe evitare che le facessero la festa…
«Ma no. Quelle che poniamo sono questioni di linea politica, nell’interesse del Paese e non delle seggiole di partito a cui peraltro abbiamo già rinunciato. Piuttosto vogliamo che Forza Italia sia un movimento al cui interno ci possa essere una sana competizione sulle idee. Senza paura».
Ha paura del riferimento che il Cavaliere ha fatto ricordando la sorte di Fini?
«Quella del presidente Berlusconi non era una minaccia perché lo conosco e perché lui conosce me. Lui sa che nel governo ci sono entrato per sua volontà, sa che le larghe intese per noi sono solo un passaggio per costruire una larga vittoria del centrodestra. Lui sa tutto».
Francesco Verderami

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