by Sergio Segio | 12 Novembre 2013 8:20
ROMA — Il Pdl è diventato una moderna Babele dove tutti parlano una lingua incomprensibile agli altri, a tal punto che Enrico Letta, per descrivere la situazione nella quale versa quel partito, evoca un «cupio dissolvi » che non porta a nulla, lo descrive cioè affetto dal desiderio di autodistruzione. «È un masochista e un ingrato», si inalbera Renato Brunetta. «È stato proprio Berlusconi a volerlo presidente del Consiglio e a volere le larghe intese». E Letta è «masochista», insiste Brunetta, «perché segna di fatto la fine della maggioranza delle larghe intese», anticipando così una decisione che potrebbe essere presa dal Consiglio nazionale del Pdl sabato prossimo.
Comunque, che la tensione sia alta lo si ricava dallo scambio polemico tra Roberto Formigoni (filogovernativo) e Mariastella Gelmini (lealista) sui numeri (veri o presunti) a sostegno del proprio schieramento. Campo di battaglia: Twitter. Comincia l’ex governatore. «I falchi — scrive — devono sapere che nonostante gli attacchi, crescono le adesioni al nostro documento di Innovatori, cresce il senso di responsabilità». E poi aggiunge: «In Lombardia dove ahimè abbondano falchi e pitonesse, il nostro documento ha già raccolto la firma del 40% di membri del Consiglio nazionale». Mariastella Gelmini contesta i dati. «In Lombardia — puntualizza — oltre il 70% dei delegati ha scelto di stare con Berlusconi. Formigoni millanta il 40%. Che tristezza». E poi lo sfida: «Caro Formigoni, il 16 novembre vedremo chi sa contare e chi la spara grossa per raccattare qualche firma in più…». Ma non è finita qui. Il filogovernativo controreplica con ironia. «Povera stella, la nostra Gelmini che nella concitazione di questi giorni non sa più fare i conti. Ma poiché noi abbiamo il 40%, loro non più del 60%».
Al momento, il caso sembra essersi chiuso, anche perché in parecchi dentro il Pdl invitano alla moderazione verbale. Lo fa Licia Ronzulli che stigmatizza: «Il protagonismo di alcuni e le continue provocazioni non fanno altro che indebolire il partito». Lo ripete Maurizio Gasparri che esorta tutti a «trovare assolutamente una soluzione unitaria, riconoscendosi nella leadership di Berlusconi, perché sarebbe assurdo il contrario».
Lo spettacolo che il Popolo della libertà offre suscita forti perplessità. Ne è consapevole lo stesso premier Letta. «Capisco — osserva nel viaggio di ritorno da Malta — che ci sono delusioni ma il cupio dissolvi non porta a niente. Continuo a non vedere quali alternative serie per il Paese ci siano. Oggi fare scendere l’aereo non serve a nessuno. E non cambia niente neanche al Pdl». Il governo, argomenta poi Letta, «è pronto a ragionare» sulla legge elettorale, se le Camere chiedono espressamente un suo intervento al riguardo.
Evocando il rischio di una dissoluzione, il premier allude alla tentazione di Silvio Berlusconi e dei falchi di aprire la crisi prendendo spunto dalle misure contenute nella legge di Stabilità e giudicate insufficienti e, soprattutto, dalla decisione del Pd di votare a fine mese la decadenza del Cavaliere da senatore. Tentazione contro cui si sono schierati gli alfaniani. «Ci dispiace moltissimo — argomenta in proposito Fabrizio Cicchitto — ma non condividiamo la posizione assunta dal presidente Berlusconi che ha fatto sua la linea degli estremisti e che vuole fare cadere a tutti i costi il governo». Non solo. «Citare — aggiunge — la categoria del tradimento contro coloro che dissentono da questa scelta politica, dire che imitano Fini e ricorrere ad altri inutili anatemi significa adottare metodi del tutto inaccettabili di lotta politica». Maurizio Sacconi, a sua volta, rivela che in caso di crisi non soltanto si farebbe «uno straordinario regalo alla sinistra di Renzi» ma il centrodestra «entrerebbe in conflitto con i corpi sociali che tradizionalmente lo hanno sostenuto e pagherebbe un prezzo elevato per la fine traumatica della Seconda Repubblica, rinunciando per anni a una prospettiva maggioritaria», si condannerebbe insomma all’isolamento.
Lorenzo Fuccaro
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