by Sergio Segio | 12 Novembre 2013 8:19
ROMA — «Egregio deputato, come Lei ben saprà l’Assemblea di cui Lei è membro si dovrà esprimere…», segue breve spiegazione dei fatti con tutte le maiuscole al loro posto. Poi il messaggio vero, nella consueta forma retorica del pugno nello stomaco per arrivare alla mente: «Tutto ciò avrebbe come conseguenza la condanna di chi — come me — ha smesso di fumare un prodotto che nuoce gravemente alla salute passando ad uno che non contiene le oltre 4 mila sostanze cancerogene» delle sigarette tradizionali. Chiusura scontata, sempre con le maiuscole del caso: «Pertanto le chiedo di modificare l’impianto dell’articolo…». C’è anche questa mail fotocopia, inviata più volte a tutti i parlamentari, dietro la marcia indietro della Camera che ha cancellato il divieto di fumo per le sigarette elettroniche nei locali pubblici. Una delle tante mosse studiate da Anafe, l’associazione dei produttori del settore che aderisce a Confindustria Federvarie (sembra uno scherzo ma si chiama proprio così). E che ci riporta alla saga delle lobby in Parlamento, film che torna sui nostri schermi a cadenza regolare. Un evergreen dai tempi di Wilmo Ferrari detto «la clava», che si vantava di aver piazzato nella sua vita 7 mila emendamenti, e dei 22 dirigenti Coldiretti fatti deputati in un colpo solo nei favolosi anni 80. I tempi sono cambiati, ci mancherebbe: oggi alla Camera di coltivatore diretto ce n’è uno solo, Mino Taricco del Pd. In compenso abbiamo 72 avvocati e 30 giornalisti che fanno la loro parte. Ma se una pattuglia di interni ha sempre il suo perché, il lavoro vero si fa da fuori. E il caso sigarette elettroniche lo conferma.
«Ci siamo adoperati in maniera attiva e pro attiva veicolando le giuste informazioni», si gode il risultato Massimiliano Mancini, presidente dell’associazione dei produttori. Poi, forse sull’onda dell’entusiasmo, aggiunge: «Abbiamo fatto un grande sforzo di comunicazione, ma buona parte del lavoro si fa dietro le quinte». E qui bisogna fermarsi un attimo. Fra tasse e divieti anche la sigaretta elettronica è finita in recessione. E quando il gioco si fa duro… I produttori italiani si sono rivolti ad Open gate Italia, società di public affairs tra le più conosciute, iscritta all’apposito albo sia della Commissione europea sia del nostro ministero delle Politiche agricole. «Nulla di segreto, tutto alla luce del sole» dice Franco Spicciariello, uno dei fondatori della società. Loro l’idea delle mail ai parlamentari, loro l’organizzazione di un grande convegno alla Camera che fa incassare la difesa di tre voci da tre partiti diversi: Ignazio Abrignani del Pdl, Fabio Lavagno di Sel, Aris Prodani del Movimento 5 stelle. Senza contare l’endorsement di Umberto Veronesi, sottolineato in ogni mail, in ogni incontro pubblico e anche privato. Di lì all’emendamento della marcia indietro il passo è breve. Ma non tutto è andato liscio. Poche settimane fa «la Voce del tabaccaio», magazine della federazione di settore, ha attaccato le sigarette elettroniche e le «società di consulenza che esercitano pressioni di ogni sorta». Guerra fra lobby, proprio come ai tempi del decreto liberalizzazioni del governo Monti. All’epoca i sottobraccisti, a loro il temine non piace ma rende bene l’idea di come va agganciato l’onorevole di turno, vennero prima confinati dietro una transenna e poi rinchiusi in una stanza a parte. Mossa simbolica per contenere i suggerimenti (e le minacce) di farmacisti e tassisti, allora tra i più agguerriti. Ma in fondo inutile perché se un tempo i contatti giusti li avevano solo le grandi aziende, ormai il lobbying è democratico e ramificato. Si moltiplicano gli addetti ai lavori, con almeno 1.500 professionisti. E anche quei corsi dove si parte dalla «mappatura degli influenti» per arrivare al concetto di «coalizione di interessi», cioè l’obiettivo di una soluzione vantaggiosa per tutti senza spaccature fra pro e contro. Le larghe intese applicate al business. Il tutto senza una regola scritta che sia una.
Dal 1948 ad oggi abbiamo avuto in Italia 27 proposte di legge, tutte evaporate dopo un paio di titoli sui giornali. L’ultimo tentativo è del governo Letta, all’inizio dell’estate. «Non ci potete mettere la scatola nera» hanno protestato alcuni ministri contro l’idea di tenere un registro con tutti i loro incontri. La decisione è stata rinviata con la singolare scusa di un approfondimento delle altre normative europee, che in realtà era stato già fatto. Binario morto, la vittoria della lobby delle lobby. Nel frattempo, come diceva John Fitzgerald Kennedy, loro «continuano a spiegare in tre minuti quello che un mio collaboratore mi spiega in tre giorni».
Lorenzo Salvia
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