La sigaretta elettronica non è più tabù cade il divieto per ristoranti, cinema e bus

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SVAPATA libera. Sui treni, in autobus, negli uffici pubblici. Al tavolo del ristorante, tra una portata e l’altra. Al cinema, mentre scorre la pellicola. O seduti in aereo, perché no. Con il decreto Istruzione, diventato legge da qualche giorno, sono stati cancellati tutti i divieti sulle sigarette elettroniche, imposti non più tardi di cinque mesi fa.

UNICA riserva rimane la scuola: proibite le e-cig in aula e nei cortili degli istituti. Ma il clamoroso dietrofront, arrivato nel silenzio fino alla definitiva approvazione, ha già scatenato le polemiche di esercenti e istituzioni sanitarie. Cos’è successo?
Eravamo rimasti al decreto Iva-Lavoro del giugno scorso, che per la prima volta, su spinta del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, regolamentava l’utilizzo della sigaretta elettronica. In pratica, vietandola ovunque tranne che all’aperto e nelle abitazioni private. Con alcuni effetti paradosso, del tipo che non si potevano provare i vari modelli di sigaretta nemmeno nei negozi che la vendevano. E agli stessi esercizi era
proibito anche mettere insegne pubblicitarie in vetrina. «Un eccesso di divieto», ragiona oggi Giancarlo Galan del Pdl, presidente della Commissione Cultura della Camera e padre dell’emendamento “4.25” al decreto Istruzione, quello che libera la svapata dai vincoli perché ha stralciato dal testo tutto il richiamo alla legge Sirchia e alla tutela della salute dei non fumatori. «Il bello è che è lo stralcio mi è stato proposto proprio dai delegati del ministero dell’Istruzione presenti in Commissione — racconta Galan a
Repubblica
— il mio emendamento non era così “liberale”, era più restrittivo. Quindi non mi si venga a dire che il governo non sapeva».
Certo, non sfugge l’anomalia di una norma sulle “bionde elettroniche” inserita in un decreto sulla scuola, che dovrebbe trattare altro. E che invece, oltre a rendere legittima la
svapata praticamente ovunque, apre agli spot su radio e tv fuori dalle fasce protette. Sorpreso, per usare un eufemismo, l’uomo che nel 2003 ha spento le sigarette nei locali pubblici d’Italia, l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia: «È un cattivo provvedimento, non certo mirato alla salute della gente, anche per quella eccessiva liberalizzazione della pubblicità. Non è una bella immagine quella di una persona che fuma, anche se si tratta di una sigaretta finta».
E un certo grado di sorpresa si intravede pure tra gli stessi produttori e distributori delle e-cig: «Finalmente non vengono più equiparate al tabacco tradizionale — osservano all’Anafe, l’associazione che aderisce a Confindustria e rappresenta 5.000 operatori — siamo consapevoli però che non si debba svapare in ogni luogo, anche pubblico». L’osso vero di questa partita, cioè la riduzione della tassazione che dal primo gennaio salirà all’80,5 per cento, non l’hanno
comunque ottenuto. In compenso, fioriscono dubbi e polemiche. Giacomo Mangiaracina, presidente dell’Agenzia nazionale per la prevenzione, annuncia una mobilitazione contro il decreto. E, per dirla con le parole di Lorenzo Tonetti, proprietario del famoso ristorante milanese Giannino, «anche se non fa male, ed è ancora da provare, il vapore aromatizzato disturba i clienti. Mi pare un decreto poco sensato».


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