«Stop al biocidio», un tour di protesta nelle terre infestate dai rifiuti tossici

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Le statistiche parlano chiaro, l’incidenza di tumori e altre malattie, nell’area tra Napoli a Caserta così come lungo il litorale vesuviano, testimoniano quello che non è esagerato definire uno sterminio differito. Lo hanno chiamato «Biocidio» e intorno allo slogan «Stop Biocidio» si sono raccolti decine e decine di comitati, coordinamenti territoriali e parrocchie, decine di migliaia di persone, che da mesi riempiono le piazze e le strade in difesa della propria salute.

Ci torneranno il 16 novembre, questa volta tutti assieme, per la manifestazione #Fiumeinpiena che si preannuncia un vero fiume umano intenzionato a scorrere compatto per le strade di Napoli, su quella data stanno convergendo tutte le singole vertenze territoriali della Campania.

Quello che è meno visibile è che il terribile legame tra devastazione territoriale e salute non riguarda solo la Campania, ma molte altre zone del paese, a partire dal Lazio. Le rivelazioni del pentito di camorra Schiavone circa lo stoccaggio illegale di rifiuti tossici nel frosinate non hanno rivelato nulla di nuovo, ciò che oggi occupa il dibattito mediatico era noto sin dagli anni ’90 e colpevolmente messo sotto silenzio. In Lazio le zone gravemente contaminate sono molte. A partire dalla Valle Galeria, poco a nord di Roma, che ospita la più grande discarica a cielo aperto d’Europa, Malagrotta, chiusa recentemente, oltre ad un impianto di raffinazione (Raffinerie di Roma), cave di sabbia, un inceneritore di rifiuti ospedalieri. Un territorio la cui insalubrità è annunciata dall’odore nauseabondo costantemente presente, e che minaccia la salute – e quindi la vita – di oltre 50.000 persone. O ancora la Valle del Fiume Sacco, uno dei luoghi inseriti nello studio Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità, il cui bacino idrico è stato gravemente compromesso prima dall’industria d’armi, presente da inizio ‘900, e successivamente dalla compresenza di impianti industriali tra cui un cementificio, un inceneritore, una discarica.

Allo stesso modo, ad Albano, Roncigliano, Cupinoro, Cerveteri, Falcognana le minacce costituite da impianti di trattamento per i rifiuti (biogas compreso) sono realtà concrete, rese ancor più vive dalla tardiva chiusura di Malagrotta, che ha riattivato un conflitto sociale mai davvero sopito attorno alla difesa di territori e salute da un ciclo dei rifiuti basato su stoccaggio in discarica e incenerimento invece che su riduzione a monte, differenziata spinta, riuso, riciclo. Ma non solo di rifiuti si tratta. Centrali a carbone, contaminazione da arsenico delle acque, inquinamento elettromagnetico, poli industriali completano un quadro dalle tinte cupe. E allora non è un caso se, anche in Lazio, come in Campania, stia nascendo un percorso contro il Biocidio, con l’ambizione di unire le diverse vertenze territoriali in una cornice unica, che faccia del nesso salute-ambiente il nodo centrale di riflessione e azione congiunta.

Per sottolineare questo parallelo tra territori violentati anche oggi (il tour è cominciato ieri) una delegazione internazionale di accademici, ricercatori e attivisti di organizzazioni sociali e ambientaliste visiterà i territori emblema di ingiustizia ambientale in Lazio e Campania incontrando, assieme alla stampa, i comitati attivi nelle diverse zone. Obiettivo del Biocidio Tour, organizzato dall’Associazione A Sud e dal Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali nell’ambito del progetto internazionale di ricerca Ejolt, è denunciare anche a livello internazionale quanto sta avvenendo in Campania e in Lazio, dando visibilità ai conflitti ambientali in corso e alle rivendicazioni sociali che le popolazioni, al di qua e al di là del Tevere, portano avanti per difendere la salute contro i veleni di un modello di sviluppo asimmetrico e insostenibile.

 


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