Il grifone, i contatti, i viaggi La tela segreta tessuta dal «mediatore di Bush»

by Sergio Segio | 9 Novembre 2013 8:18

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Rubata in una grotta iraniana, è stata sequestrata dalla dogana statunitense nel 2003. Un oggetto di grande valore rispedito, alla fine di settembre, dagli Usa a Teheran. Gli scettici, citando l’episodio, hanno ricordato il precedente. Non fortunato. La torta portata in regalo agli iraniani dall’emissario di Ronald Reagan, Robert McFarlane, all’epoca dell’Irangate. Teheran voleva i missili in cambio degli ostaggi americani in Libano, Washington accettò il baratto ma l’operazione finì male per colpa dei khomeinisti duri e puri. Altri tempi, anche se un protagonista di allora c’è ancora. Ed è l’attuale presidente Hassan Rouhani, uno degli artefici del grande cambio.
In realtà il merito della svolta — se tale sarà — è di figure meno note. Personaggi nell’ombra, abituati restare in silenzio e a lavorare sodo. Un profilo cucito per Puneet Talwar, diplomatico americano d’origine indiana formatosi alla Columbia University. Un documentato articolo del Wall Street Journal e gli avversari interni alla trattativa lo indicano come la chiave di tutto. L’uomo che ha portato a sgombrare parte dell’ostilità, una ruggine corrosiva composta da inimicizia profonda, colpi bassi e anche sangue.
Le svolte in Medio Oriente possono apparire repentine, però di solito sono precedute da lunghe manovre. E la regola vale anche per il dossier iraniano. Puneet Talwar ha iniziato a trattare le carte quando alla Casa Bianca c’era ancora George Bush. E in quei giorni il funzionario faceva parte dello staff del Senatore Joe Biden. Esperto del Golfo Persico, Talwar ha partecipato con accademici ed ex diplomatici a colloqui informali con esponenti iraniani. Gran parte degli incontri si sono svolti in Europa e un buon numero a Stoccolma sotto l’egida dell’Asia Society, istituzione che si occupa di risoluzione di conflitti. Insieme all’americano-indiano c’erano personalità di peso come l’ex segretario alla Difesa William Perry, Thomas Pickering, già sottosegretario con Clinton e Frank Wisner, a lungo ambasciatore in Egitto. Dall’altra parte del tavolo figure che godevano dell’approvazione del regime iraniano. Tra gli organizzatori delle riunioni c’era anche Mohamad Javad Zarif, oggi alla guida del ministero degli Esteri di Teheran.
Il contatto tra le due parti non si è mai interrotto. Certo, ci sono state delle pause, ma i canali sono rimasti aperti e quando Obama è diventato presidente sono stati usati di nuovo. Talwar è finito in prima linea essendo diventato assistente speciale sull’Iran alla Casa Bianca. Nella partita sono poi entrati altri attori. L’attuale consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice che, grazie al precedente incarico all’Onu, ha stretto relazioni interessanti con gli iraniani. Quindi la vice direttrice dell’Asia Society Suzanne DiMaggio. Infine il sultano Qabus dell’Oman, sovrano abituato a parlare con i dirimpettai iraniani, un leader esperto di mediazioni.
E’ chiaro che a rendere le cose meno complicate ha contribuito l’elezione a presidente di Hassan Rouhani. I due fronti hanno colto il momento. Obama voleva e vuole evitare un’altra crisi, l’Iran deve uscire dall’angolo in cui si è ficcato con la sua rincorsa alla bomba atomica. Tra le due capitali ci sono stati scambi di messaggi, lettere, poi la breve telefonata tra i due presidenti a margine dell’Assemblea dell’Onu. Segnali accompagnati da qualcosa di più tangibile. Indiscrezioni apparse sul sito Daily Beast affermano che gli Usa avrebbero ridotto in modo drastico le misure contro chi aiuta Teheran nei traffici militari. Talwar è salito al Congresso per chiedere ai parlamentari di aspettare con le nuove sanzioni. Poi — attaccano i suoi critici — avrebbe cercato di ammorbidire la propaganda anti Iran. L’obiettivo era quello di rendere più leggero il dialogo. E anche l’antica coppa del grifone ha rappresentato un gesto verso i mullah. Un piccolo simbolo a ricordarne un altro. Quando, nel 1988, l’imam Khomeini si rassegnò ad accettare la pace con l’Iraq lo fece dicendo di aver bevuto «l’amaro calice». Era inevitabile, dopo 8 anni di guerra devastante. Oggi tutto appare più semplice, ma bisognerà aspettare prima di capire se a Ginevra hanno davvero scritto la Storia. O se invece si è trattato di un inutile balletto diplomatico.
Guido Olimpio

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