Su Pasolini un oratorio corale, cercando la verità
E vale la pena davvero farlo, se a porre nuove domande, illuminazioni ed oscurità, nell’occasione del 2 novembre 1975 (quando il poeta fu ucciso a Roma all’Idroscalo di Ostia) è, nella forma di una scabra e appassionata recitazione corale, un teatro di frontiera come il Zaccaria Verucci attivo nel Centro sociale Zona Rischio.
L’Omaggio che il collettivo Internoenki e le giornaliste Martina Di Matteo e Simona Zecchi, diretti da Terry Paternoster, hanno voluto dedicargli ha il merito di dissipare una nebbia che volta a volta ha allontanato memoria e riflessione necessari, pencolando tra la corda dello scontato complotto politico e quella della morte abitudinaria (da «marchettaro» secondo Nico Naldini). Quel che i bravissimi attori del «collettivo Internoenki» (www.internoenki. com) interpretano è una trama essenziale, scabra. Su una scena un gradino sopra la sala, due sedie da bar ai lati per la cronaca del misfatto e un coro che trapassa la storia e attribuisce i ruoli; mentre ad intervalli sullo schermo emergono frammenti cinematografici della passione secondo Pasolini: La ricotta, Cosa sono le nuvole?, Mamma Roma insieme ad una non inedita ma eccezionale intervista fatta in borgata da Ninetto Davoli a Pier Paolo su quale dei suoi film fosse «il prediletto».
Chi dunque ha ucciso Pasolini? Perché è certo che è stato ucciso. Anche se, provocatoriamente la rappresentazione inizia con l’ucronia di Andrea Panzironi che annuncia la sua morte «il 15 marzo 2012» in un lungo pseudo-necrologio che lo dà perfino ministro della pubblica istruzione negli anni Ottanta. Il contrario esatto di una terzina del poeta Attilio Lolini, che quasi plaude provocatoriamente al morto ammazzato Pier Paolo: «meglio così» che costretto a diventare vecchio petulante e «scacazzante». Dunque lo spettacolo ha per contenuto l’inchiesta giornalistica Viaggio nella notte all’idroscalo di Martina Mazzeo e Simona Zecchi (sul numero 8 dei Quaderni dell’Ora), dalla quale emergono senza equivoci, particolari inquietanti su quella notte del 2 novembre 1975: sull’auto di Pasolini alla fine ritrovata sulla Tiburtina, e su una doppia vettura, sull’ambigua figura di Jonny Lo Zingaro probabile collaboratore non ufficiale di polizia, sulla ricerca ossessiva da parte del poeta delle «pizze» del film su Salò, sugli strani ritrovamenti del capitolo trafugato di Petrolio (su cui tanto ha lavorato Gianni D’Elia), sui ragazzi di malavita e fascisti che gli stavano intorno come uccellacci, sulla guida attribuita a Pelosi e gli orari incredibili di quella notte, sul verbale sparito e una e-mail finale che evidenzia la presenza di qualcuno che sa tutto e che segue di nascosto le indagini.
Dunque, visto anche che la sentenza sul suo omicidio parla di «concorso con altri» del reo-confesso Pelosi e della riapertura dello stesso procedimento, se non di «scontato complotto» di «concorso» e intrigo si deve proprio parlare. Il tutto intervallato sapientemente da un canovaccio che rivisita e propone scritti, saggi e versi dello stesso Pasolini. Colpo di teatro finale, l’apparizione reale sul palco, tra il pubblico, di uno spettatore, il testimone reale di tante verità: Silvio Parrello, in arte «Pecetto» che racconta e poi recita a memoria alcune poesie e, fra tutte, Profezia da Alì dagli occhi azzurri , che scoprì il nuovo protagonismo dei soggetti migranti, i paria che dalla disperazione dei continenti affamati iniziavano appena ad arrivare nell’esclusivo e capitalistico vuoto occidentale. E che sembra scritta oggi, all’indomani della strage di Lampedusa.
Così, inconsapevolmente, la forza evocativa di Alì squarcia il velo delle verità. Parafrasando lo stesso Pasolini dell’invettiva «Io so chi è il responsabile delle stragi…», e grazie a questo «Omaggio» del «collettivo Internoenki», possiamo dire di sapere chi lo ha ucciso e perché: lo hanno ucciso tutti quelli che cominciavano a rappresentare – ben prima dell’89 – l’omologazione antropologica dell’Italia che ha cancellato l’esistenza di una Sinistra; lo hanno ammazzato i potenti e i padroni dello stato di cose esistente; chi opprime e disprezza gli umili e i deboli; i piccolo-borghesi dei quali denunciava la meschinità e la povertà intellettuale; lo hanno assassinato anche quei giovani scrittori smaniosi di un posto nelle gerarchie letterarie. Perché? Perché era colpevole per la sua preveggenza, per la sua luce da lucciola naturale e fuori tempo, per il suo traguardare «sotto» e «oltre», capace di scoprire il mandante nascosto dell’oppressione generale.
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