Pdl, corsa alle firme. E lite sul «voto segreto»

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ROMA — Dietro la battaglia dei numeri, che non tornano mai, oltre le dichiarazioni di guerra, che farebbero pensare ad una rottura ad horas , Silvio Berlusconi continua a far ballare i suoi. I governativi e i lealisti, quelli che vorrebbero restare fedeli al governo e quelli che chiedono di passare subito all’opposizione, i più aggressivi dei falchi e le più tenere colombe. Perché a nessuno dice, realmente e fino in fondo, quello che davvero vuole: tenere in vita l’esecutivo o staccare la spina? Concedere che Forza Italia divenga un partito normale dove si confrontano maggioranze e opposizioni o creare una creatura al suo servizio guidata da falchi e fedelissimi?
Non lo fa il Cavaliere perché il suo unico, reale obiettivo in questa fase è tenere le redini del Pdl, portarlo il più possibile unito all’appuntamento del 16 novembre — il Consiglio nazionale che dovrebbe affidargli tutti i poteri della nuova Forza Italia — e alla testa del suo movimento condurre le due battaglie delle settimane successive: quella della legge di Stabilità e quella, esiziale per lui, della decadenza. Battaglie aperte a ogni esito: ai falchi il Cavaliere anche ieri ha assicurato che «una manovra tutta tasse come questa, se non verrà drasticamente cambiata, è per noi invotabile, e soprattutto che «quando sanciranno la mia decadenza, noi lasceremo questa maggioranza. Anche a costo di rimanere all’opposizione». Con le colombe invece i toni sono più sfumati, perché per tenere assieme il partito è fondamentale mantenere vivi i rapporti con quell’Angelino Alfano, incontrato ancora una volta ieri sera a cena a Palazzo Grazioli, le cui scelte farebbero la differenza sia per la compattezza di Forza Italia che per il destino della legislatura.
Per questo, in assenza di parole e mosse decisive di Berlusconi, nel partito è guerra aperta. Guerra di posizioni, di numeri, di documenti, di regole. Una guerra che appare, allo stato, insanabile, se non fosse che sono proprio Berlusconi e Alfano i due che potrebbero — ancora non si ha idea come — chiudere. I governativi sono infatti ieri passati all’attacco duro, sbandierando numeri altissimi sul loro documento che riconferma la leadership a Berlusconi ma anche il sostegno al governo: «Siamo a oltre 300 firme e possiamo arrivare a 400: vogliamo il voto segreto in Consiglio» ha proclamato Formigoni, uno degli Innovatori più invisi a Berlusconi, uno dei tanti del gruppone che non vorrebbe più riaccogliere a braccia aperte in Forza Italia. Alle parole dell’ex governatore della Lombardia hanno reagito con la durezza assoluta ormai abituale di questi giorni tutti i lealisti, dalla Gelmini alla Bernini alla Carfagna, mentre da San Lorenzo in Lucina, sede Pdl-Fi, snocciolavano i numeri dei falchi: 595 le firme sul documento dell’ufficio di presidenza già depositate, una cinquantina quelle sicure in arrivo, su un totale di 863 aventi diritto. I governativi? «Se gli va tutto bene, possono arrivare a 200-220. Ad oggi non ne hanno più di cento: se ci abbiamo messo dieci giorni noi, che siamo tantissimi, a raccogliere 600 firme, loro in un pomeriggio ne avrebbero recuperate 300? Neanche Superman…» dicono, indisponibili a trattare.
In verità Verdini ancora, a nome di Berlusconi, lavora ad una qualche forma di accordo che preveda il rientro nei ranghi di Alfano e magari di Lupi e la spaccatura del fronte degli Innovatori, se servirà, dando in cambio assicurazioni di ricandidature per un gruppo di fedelissimi del vicepremier e ruoli anche di peso nel partito. Un accordo difficilissimo, che fa storcere il naso a tanti fra i governativi, come Cicchitto che già mette sul piatto l’ipotesi di «disertare» il Consiglio nazionale se non ci saranno ben altre, e con Lupi che frena: «Noi vogliamo l’unità, quindi non diserteremo».
Ma alla fine, si torna al nodo dei nodi: cosa vuole farci Berlusconi con il suo partito unito e la sua guida indiscussa? Secondo la Santanchè dubbi non ce ne sono: «Non prendiamoci in giro, sugli organigrammi siamo tutti disponibili, ma sul fatto che, votata la decadenza, non si può rimanere al governo con i carnefici, non si transige». E non c’è dubbio che anche Alfano sa bene come il nodo resti questo, e come lo sarà fino all’ultimo. Perché se, fosse anche al fotofinish, il Cavaliere intravedesse un’ancora di salvezza personale «fermerebbe le macchine, anche a costo di scaricarci tutti», ammette un lealista doc. Ma la salvezza «dentro di lui, lo sa: non arriverà».
Paola Di Caro


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