«Puniremo gli abusi in caserma» La battaglia delle due senatrici (rivali)

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NEW YORK — Giovedì scorso, due ore dopo aver giurato nel Campidoglio di Washington, il neosenatore democratico del New Jersey Cory Booker si è trovata davanti Kirsten Gillibrand, senatrice di New York, che gli ha chiesto un incontro urgente. Vuole parlargli di una questione per la quale si batte allo spasmo: una norma per proteggere meglio chi — soprattutto le donne-soldato — subisce violenze sessuali in caserma o comunque da parte di commilitoni. Una causa sacrosanta, ma le modalità proposta dalla parlamentare progressista, sottrarre totalmente questi casi alla supervisione delle gerarchie militari dando alle corti marziali piena autonomia, trovano la ferma opposizione del Pentagono e stanno spaccando il partito democratico nel quale un’altra donna, la senatrice del Missouri, Claire McCaskill, è scesa in campo contro la Gillibrand.
Anche lei è consapevole che le norme attuali vanno riformate perché le violenze dilagano e troppi casi di abusi sessuali restano impuniti. L’anno scorso quelli denunciati e per i quali sono in corso indagini criminali sono stati ben 1.600. Anche il suo progetto di legge, in parte scritto dal presidente della Commissione Forze Armate del Senato, il democratico del Michigan Carl Levin (e appoggiato dal capo del Pentagono, Chuck Hagel) limita i poteri delle gerarchie di esercito, marina e aviazione. In particolare toglie ai comandanti di militari imputati di reati sessuali il potere di respingere le sentenze o di non applicare certe sanzioni come la messa in congedo con disonore. Ma il progetto della McCaskill lascia comunque i tribunali militari sotto il controllo delle Forze Armate, mentre la Gillibrand sostiene che il moltiplicarsi degli stupri e i molti casi in cui i comandanti militari hanno sottovalutato i reati o hanno cercato di metterli a tacere, rendono necessario un intervento più radicale: la piena indipendenza delle corti marziali dalla catena di comando degli stati maggiori.
Molti vedono in questo un pericoloso «vulnus» nei poteri del Pentagono. Unità militari con un ruolo-chiave potrebbero trovarsi private del loro capo in un momento cruciale, magari solo in attesa di chiudere un’indagine nata da un’accusa infondata. Ma quello delle violenze sulle donne-soldato sta diventando un problema troppo grosso per non essere affrontato in modo radicale. E casi come quello recente di una militare ventenne fatta ubriacare e violentata da tre ufficiali durante un party vicino all’accademia di Annapolis, spingono a togliere ogni potere a comandanti che, volendo evitare a tutti costi lo scandalo, vengono a trovarsi inevitabilmente in conflitto d’interessi: la donna è stata sottoposta a 30 ore di massacranti e umilianti interrogatori nonostante i fatti fossero già testimoniati da un filmato messo in Rete da qualcuno del branco.
Una battaglia morale che fino a qualche giorno fa la Gillibrand sembrava destinata a perdere, vista l’opposizione dei conservatori e anche di molti democratici. La senatrice di New York, però, è molto determinata: si è messa a catechizzare, uno per uno, tutti i suoi colleghi e ha provocato crisi di coscienza anche in solidi campioni della destra come il repubblicano dell’Oklahoma Tom Coburn. L’invio in aula della legge era stato respinto ma ora, visto che la Gillibrand ha racimolato almeno 45 voti su 100, il capo dei senatori democratici, Harry Reid, ha deciso di consentirle di ripresentarla come emendamento a una norma che verrà votata prima della fine di ottobre. Al Pentagono è scattato l’allarme rosso: le tre armi si sono messe a operare come vere e proprie lobby al Congresso e nei collegi elettorali dei senatori. Temono una decisione a sorpresa anche perché stavolta il voto non seguirà la classica divisione destra-sinistra.
Massimo Gaggi


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