by Sergio Segio | 3 Novembre 2013 9:08
Carmine Schiavone, la gola profonda dei casalesi che sta squarciando il velo sullo smaltimento di rifiuti tossici, chiama in causa Cipriano Chianese, l’avvocato casertano capo indiscusso della Resit, società che gestiva alcune discariche nel territorio di Giugliano e con uno stabilimento nella zona industriale di Gricignano, e Gaetano Cerci, suo socio ed emissario nei circoli culturali in odor di massoneria di Arezzo. «Attraverso questi circoli Cerci entrò automaticamente- ha rivelato Schiavone- in un gruppo di persone che gestiva rifiuti tossici. Lavorava a Milano, Arezzo, Pistoia, Massa Carrara, Santa Croce sull’Arno, La Spezia. E Cerci si trovava molto bene con un signore che si chiama Licio Gelli». In effetti il legame tra Cerci e Gelli era stretto, e da tanto tempo. Cerci, 46 anni, imprenditore nel settore dei rifiuti e nipote acquisito del boss Francesco Bidognetti, alias “Cicciotto ‘e mezzanotte”, fu arrestato nell’agosto del 2009 durante il blitz che sventò un summit di camorra nella sua abitazione a Casal di Principe, e, in quanto titolare della Ecolog 89 all’inizio degli anni Novanta fu coinvolto, assieme a Gelli, nello scandalo dei rifiuti tossici portati dalla Toscana in Campania, presso la discarica di Gaetano Vassallo, imprenditore di Cesa, oggi collaboratore di giustizia. Il testo dell’audizione di Schiavone riapre la questione già nota delle infiltrazioni mafiose nell’aretino. Una ragnatela di affari sporchi e di massoneria, trame occulte e segreti ben custoditi. La regia dello sversatoio criminale era in queste lande, nella tranquilla Toscana. E Schiavone fa proprio il nome di Bidognetti, la cui famiglia anche dopo il ’97 (l’anno dell’audizione ora desecretata di Schiavone) ha continuato ad avere rapporti con il territorio.
Se infatti andiamo al luglio del 2008 balza all’occhio l’arresto a Montevarchi di Francesco Galloppo, uomo fidato di Bidognetti, emigrato in Valdarno per sfuggire a una faida che lo aveva già visto uscire miracolosamente vivo dalla strage di san Michele negli anni ’90. Ma cellule di camorra, gravitanti nell’orbita dei Moccia e dei Licciardi di Secondigliano, gestivano il traffico di droga in Val di Chiana. L’impressione è che i clan fossero a caccia di opportunità per reinvestire i capitali illeciti acquisiti nelle zone di origine con il traffico di droga, le estorsioni, l’edilizia e i rifiuti, appunto. Una provincia apparentemente tranquilla da trasformare in lavatrice per ripulire i soldi sporchi. Confidando in logge occulte e circoli di colletti bianchi dal pedigree massonico. E così Schiavone non ha esitato a tirare in ballo l’industria aretina confessando che vi erano tonnellate di fusti sotterrati che contenevano il toulene, ovvero residui di pitture provenienti da fabbriche della zona di Arezzo. Una sinergia criminale tra imprenditori toscani e criminalità casertana. L’ombra dei clan che sconfina in zone insospettabili.
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