Valsusa, a fuoco presidio No Tav: “È un attentato”

by Sergio Segio | 3 Novembre 2013 8:50

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TORINO — Saranno due telecamere del Comune a fare chiarezza sull’incendio che, la scorsa notte, ha distrutto il presidio No Tav di Vaie, in bassa Val Susa. Ieri i carabinieri di Susa, guidati dal tenente Flavio Pieroni, hanno “sbobinato” le otto ore di registrazione
antecedenti lo scoppio delle fiamme. Si vedrebbero alcuni individui incappucciati avvicinarsi al presidio poco prima delle 23 di venerdì, ora in cui è scoppiato l’incendio. Ma le forze dell’ordine sono caute: «Non abbiamo ancora elementi per affermare che si tratti di un incendio doloso — spiega Pieroni — oltre alle immagini delle telecamere, attendiamo di ricevere dai vigili del fuoco la relazione tecnica sull’incendio».
L’altro nodo fondamentale riguarda le due bombole di gas rinvenute all’esterno del presidio. Una di queste era collegata all’impianto dell’edificio: da lì sarebbero partite le fiamme che poi hanno distrutto il rifugio. L’altra bombola invece era sul lato opposto della casa. I No Tav negano di averla messa loro: «Non sappiamo come sia finita lì e chi l’abbia portata — dice il leader Alberto Perino — la stessa cosa era avvenuta anche quando è andato a fuoco il presidio di Borgone». È il terzo presidio No Tav distrutto dalle fiamme. Il movimento contro la Torino-Lione non ha dubbi: «Si è trattato di un attentato intimidatorio, e in stile mafioso, ma non ci fermeranno. Ricostruiremo un presidio ancora più grande, la verità non si cancella con il fuoco». Indagano i pm Antonio Rinaudo e Roberto Padalino, che già si sono occupati degli attentati dei mesi scorsi contro le aziende valsusine del cantiere della Maddalena. «Non abbiamo fiducia nella magistratura, archivieranno questo episodio così come hanno già fatto per i precedenti », commenta Perino.
Solidarietà al movimento No Tav è arrivata anche da esponenti politici da sempre su fronti opposti, come Stefano Esposito (Pd) e Osvaldo Napoli (Pdl). Messaggi rifiutati dal sito notav.info: «Sono loro i responsabili morali di quanto è accaduto».

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