by Sergio Segio | 2 Novembre 2013 9:03
Il problema sarà quello di chi si intesta la responsabilità della rottura. Fra decadenza da senatore e legge di Stabilità, l’ex premier ritiene di poter trovare una buona ragione e molti pretesti. Quanto alla sinistra, l’arrivo probabile di Matteo Renzi alla segreteria al congresso dell’8 dicembre si spiega anche in vista di un voto anticipato.
Il calcolo berlusconiano è quello di opporsi il più possibile alla decisione del Senato di farlo decadere; e di sfruttare l’incandidabilità che è un effetto della sua condanna da parte della Corte d’appello di Milano, come bandiera di una presunta persecuzione nei suoi confronti. Quando chiede che «siano gli elettori a giudicare» se può partecipare o no, l’ex premier sfida insieme i magistrati, la sinistra, il Quirinale e i governativi del Pdl. E quando annuncia che in qualche maniera ci sarà un suo «impegno diretto», perché i figli e le figlie non sono adatti, significa che sta pensando di aggirare il divieto.
È l’unico modo che ritiene di avere per non perdere il controllo del suo partito; e per scoraggiare i ministri del Pdl e la loro pattuglia di seguaci a continuare nell’appoggio alla coalizione di «larghe intese» di Enrico Letta. Solo la fine della legislatura nel 2014 potrebbe complicare l’operazione di sganciamento del vicepremier Angelino Alfano da un Pdl che sta tornando a Forza Italia con l’occhio alle urne.
L’idea di ingaggiare un conflitto istituzionale col potere giudiziario, e non solo, è la mossa disperata di chi ritiene di non avere più nulla da perdere.
Ma soprattutto, Berlusconi sa che a sinistra le «larghe intese» sono state sofferte forse più del centrodestra. E che la prospettiva di una spaccatura del Pdl trasformerebbe uno stato di necessità in qualcosa di diverso: la «nuova maggioranza politica» salutata da Enrico Letta dopo la fiducia del 2 ottobre scorso. Potrebbe diventare un embrione di movimento centrista che soprattutto i settori di sinistra del Pd temono, intravedendo una possibile saldatura con gli ex Popolari; e, sul fronte opposto, la nuova-vecchia Forza Italia. Il timore inconfessato è che da adesso al 2015 spunti uno scenario politico totalmente cambiato.
C’è dunque una certa assonanza fra l’impegno renziano a non avere «mai più le larghe intese», e la convinzione dei «lealisti» del Pdl che questa coalizione sia finita. Esponenti come Denis Verdini e Daniela Santanché sono convinti che si debba andare alle urne. E l’ostilità irriducibile mostrata ultimamente da Renzi nei confronti di Berlusconi non esclude un asse di fatto che rimanda al «partito trasversale del voto anticipato». Qualche indizio si indovina anche nella nomenclatura attuale del Pd. Le critiche del segretario uscente Guglielmo Epifani a un governo che non può solo «galleggiare», non sono nuove.
Ma possono diventare un incentivo alla crisi, se le dinamiche elettorali si accelerano e Berlusconi diventa il responsabile della rottura. Qualora questo scenario preoccupante prendesse corpo, aumenterà la pressione per piegare Giorgio Napolitano e indurlo a sciogliere le Camere. Anche se si andrebbe a votare con l’attuale legge elettorale, pur giudicata un disastro: naturalmente, rinfacciandosi la colpa dell’ennesimo fallimento delle riforme.
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