ZIZEK “IO, ELVIS DELLA FILOSOFIA CREDO ANCORA CHE HEGEL CI SALVERÀ”

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«Scusi, ho parlato troppo». All’improvviso Slavoj Zizek tace. Aveva rotto il ghiaccio con una storiella sulle sottili differenze che tormentano la sinistra. Il suo inglese prorompe scandito da un’inconfondibile esse blesa, il tono è grave, il volume alto. È appena tornato dalla Corea, ma rimarrà nella sua Lubiana solo qualche giorno. «Ora mi toccano gli Stati Uniti, poi la Bolivia. Adoro viaggiare e tutto ciò che mi serve sta nel mio computer. Per divertirmi inoltre guardo un sacco di film, anche se oggi sono stanchissimo per il trasloco…». I libri ingombrano. «No, è che un mesetto fa mi sono sposato». Il primo matrimonio? «Il quarto. Lei è più giovane di me, fa la giornalista culturale». Bene. «Con le mogli precedenti, però, conservo un ottimo rapporto». Zizek è «misantropo», dice. E pure «un vecchio stalinista», aggiunge scherzando a metà. Detesta le filosofie del dialogo, ma chiacchiera con entusiasmo e garbo impeccabile.
Esce in Italia la prima parte di
Meno di niente
(ed. Ponte alle Grazie), il suo monumentale saggio dedicato a Hegel. «La più grande impresa della mia vita», ha dichiarato. Perché?
«Oddio, in effetti messa così suona abbastanza grottesco. Volevo soltanto dire che ricapitola, in qualche modo, tutto il mio lavoro. Provo a chiarire le mie posizioni filosofiche e ontologiche fondamentali, anche se qui e là non manca qualche barzelletta sporca. Non riesco a sopravvivere senza».
È strano, perché i suoi libri sono talmente divertenti e ricchi di aneddoti da averle assicurato l’epiteto di “Elvis della filosofia”, ma il suo pensiero affonda le radici nei classici: la dialettica di Hegel, la critica dell’economia politica di Marx, le categorie psicoanalitiche di Lacan…
«Assolutamente. Mi fa piacere lo abbia notato. La gente crede che io mi diverta a giocare al postmoderno. Nulla di più falso. Il relativismo storicista postmoderno mi annoia parecchio e, anzi, è il mio nemico numero uno. Oggi tutto è diventato analisi del discorso e quasi nessuno si azzarda più a porre i grandi interrogativi, metafisici se vuole. Tanto che, ai miei occhi, la miglior filosofia del dopoguerra rimane lo strutturalismo di Althusser, Deleuze, Lacan… Non parliamo dell’arte, dove le vere conquiste dell’Europa risalgono a un secolo fa, o più: Mallarmé nella poesia, Stravinskij e Schönberg nella musica, Kandinskij e Malevic nella pittura. E la stessa nostalgia la provo nella musica rock, sono un reazionario dei primi anni Settanta».
Nel 1906 Benedetto Croce distingueva «ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel»; nel 1945 Karl Popper presentava Hegel come il profeta del totalitarismo. Lei, invece, riabilita l’idea di totalità e si chiede come essere hegeliani oggi. Perché?
«Che la nozione filosofica di totalità sia il germe del totalitarismo politico è un’idiozia che ha contagiato anche Lévinas e Adorno. Io penso il contrario. Se si esamina scrupolosamente ciò che Hegel intende per totalità, si capisce che non indica affatto un ordine ideale dove ogni cosa è in pace con se stessa. Osservare un fenomeno nella sua totalità significa, all’opposto, abbracciare nel suo concetto tutte le lacerazioni, i fallimenti, i conflitti. Per cui, essere hegeliani oggi significa includere nell’analisi del capitalismo contemporaneo le crisi, gli orrori, le guerre. Fa tutto parte della stessa totalità».
Eppure Hegel passa ancora per il filosofo della fine della storia, della riconciliazione…
«Riconciliazione non è sinonimo di armonia globale. Ogni lettore attento sa che la riconciliazione hegeliana non annulla la dialetticità del mondo, ma sancisce piuttosto il suo costitutivo antagonismo. Hegel non è un razionalista da quattro soldi, è al contrario il grande filosofo della contingenza. E, paradossalmente, è anche più concreto di Marx, perché, a differenza di quanto fa costui col proletariato, non attribuisce ad alcun soggetto sociale il potere di conoscere la direzione della storia e agire come suo strumento. Hegel lo dice chiaro e tondo: “La nottola di Minerva spicca il volo al tramonto”. E oggi ci troviamo esattamente in questa condizione: radicalmente aperta, impenetrabile alla teleologia, insomma, molto più hegeliana che marxiana».
La storia non ha placato l’antagonismo, d’accordo, ma come interpreta la diffusione dei governi di larga coalizione in Europa?
«È l’esito prevedibile del vecchio bipolarismo. Oggi tutti i grandi partiti, di destra e di sinistra, sono le due facce di un unico centro. E la tragedia è che l’unica opposizione all’ideologia liberaldemocratica è incarnata dai partiti populistici di una destra nazionalista».
Come mai nemmeno una fase di spaventose disuguaglianze procura consenso alla sinistra?
«La sinistra manca di visione globale e, se non bastasse, non ha uno straccio di programma alternativo alla spesa pubblica. La gente protesta ovunque e l’unica risposta è la promessa di un revival neo-keynesiano. Invece, sarebbe proprio questa l’occasione di reinventare una politica di larga scala. Abbiamo disperato bisogno di re-inventare la politica per confrontarci sui nuovi grandi temi che trascendono gli Stati: l’ecologia, la regolazione della finanza, la biogenetica… Ecco perché la sinistra non può che lottare per una diversa integrazione politica europea. Se l’Unione si disgregasse in un manipolo di Stati nazionali, ciascuno di loro sarebbe subito spazzato via dal mercato mondiale ».
La miopia, però, non è solo programmatica e istituzionale. Lei un anno fa ha scritto e recitato nel film Guida perversa all’ideologia:
ritiene che esista una “questione culturale”?
«L’ideologia dell’edonismo liberale non ha rivali, bilanciata solo leggermente da un ridicolo buddismo new age… E così, tra il “goditela” e lo “scopri te stesso”, uno dei pochi spazi di emancipazione sembra, lo dico da ateo, la Chiesa di Papa Francesco. Ma sa, quando sento ripetere la favola che le ideologie sono scomparse, di solito rispondo: siete matti? Guardate gli Stati Uniti. Sulla riforma sanitaria Obama ha dovuto combattere il cuore dell’ideologia americana, un individualismo sregolato. Lo sa che il sessanta per cento degli elettori repubblicani crede ancora che Obama sia musulmano? Una follia. Per non dire della crisi: sulle sue cause l’imbroglio è continuo».
Nel 1990 si candidò alle presidenziali in Slovenia. Ha chiuso con la politica attiva?
«Sono troppo stanco. Partecipo ancora alla vita pubblica, ma adesso il mio interesse fondamentale è la filosofia. Perciò, tranne le lezioni in giro per il mondo (sempre meno all’università, non le sopporto), passo tutto il giorno a leggere e scrivere. Se pensa che mi pagano pure per farlo, beh, sono molto fortunato».
Che libri legge?
«Forse è il momento di deluderla. A parte le nuove uscite su Hegel, sulla psicoanalisi e un po’ di teoria cinematografica, leggo molti romanzi polizieschi, anche italiani ovviamente. E non solo Camilleri. Mi piace Carofiglio, per esempio».
I suoi gusti cinematografici – Hitchcock su tutti – sono noti. Quelli letterari?
«Sono molto tradizionali. Mi piace il grande modernismo. Per me gli scrittori del Novecento sono tre: Kafka, Beckett e Andrej Platonov. Lo scrittore italiano che amo di più, invece, è Italo Svevo. La coscienza di Zeno dovrebbe essere obbligatorio a scuola, specie oggi che qualunque idiota apra bocca se la prende contro il fumo ».
Appassionato di fiction, dunque, ma politicamente realista.
«In politica non sono né un idealista né un costruttivista postmoderno. La gente è così stupida che a volte mi prende sul serio per uno stalinista ortodosso. In realtà, odio lo pseudo-radicalismo e sono, semplicemente, un pessimista pragmatico. Credo che il compito di un intellettuale sia cogliere un problema e descriverlo radicalmente, senza offrire soluzioni a buon mercato».
«Seminare dubbi, non raccogliere certezze», diceva Norberto Bobbio.
«Bisogna fare le domande giuste. Spesso discutiamo di problemi reali, ma il modo stesso in cui li formuliamo è mistificato. Oggi più che mai è importante fare le domande giuste».
*********
Il libro
Meno di niente Hegel e l’ombra del materialismo dialettico (vol. 1) di Slavoj Zizek (Ponte alle Grazie, trad. di W. Montefusco e C. Salzani pagg. 700, euro 29)


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