Utah, nella fortezza del Grande Fratello qui l’America ingoia le vite degli altri

by Sergio Segio | 27 Ottobre 2013 8:26

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SALT LAKE CITY (UTAH). SCUSA, non ho sentito. Se lavoro alla base? Non vedi? Gioco a basket». Lui, pantaloncini corti, maglietta rossa dei Miami Heat, tra i trenta e i quarant’anni, sta in effetti allenandosi nel piccolo play ground davanti a casa. Una delle nuove villette che corrono lungo Beef Hollow Street, una via poco dopo Bluffdale, cittadina a mezz’ora di auto a sud di Salt Lake City.

BISOGNA venire qui per capire la potenza e la grandezza della Nsa, l’Agenzia per la sicurezza nazionale, protagonista suo malgrado del più velenoso scandalo di spionaggio degli ultimi cinquant’anni, con i suoi programmi invasivi rivelati dall’ex agente Edward Snowden in grado di terremotare le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e gli alleati.
Bisogna venire qui per vedere il Data Utah Center, un gigante nascosto tra queste colline acide senza alberi, le montagne alle spalle e il lago poco lontano. Il più grande centro raccolta dati del mondo cresce di fianco a Camp Williams, uno dei quartier generali della Guarda Nazionale: ne raddoppia la mappa, ne aumenta la popolazione. Tra Bluffdale a Leihi City ormai è quasi tutta zona militare, spuntano complessi residenziali costruiti in tutta fretta per alloggiare gli agenti e i tecnici che sono e saranno operativi.
Dietro il filo spinato le ruspe sono scomparse, i capannoni rettangolari bianchi stanno uno di fianco all’altro: quattro enormi formano il blocco centrale, altrettanti più piccoli e poi altri due sul lato corto. Grandi cisterne per l’acqua e serbatoi per il carburante si intuiscono a qualche centinaio di metri di distanza, ovunque generatori elettrici: la base infatti è programmata per essere del tutto autosufficiente, può rimanere isolata anche per settimane. Le torri di guardia sono vuote, solo i radar girano silenziosi, nel cielo vola un elicottero nero senza alcuna insegna. Il centro ormai è finito, ma l’inaugurazione prevista per il 24 settembre, è saltata: continui guasti elettrici, almeno 10 gravi negli ultimi 13 mesi, ritardano il via libera delle operazioni. Il portavoce della Nsa, Vanee Vines ammette in un comunicato ufficiale: «Ci sono stati problemi, ma adesso tutto sta per essere risolto». In realtà, secondo il Wall Street Journal, ci vorrà almeno un anno. L’energia è il vero grande problema, l’esercito di computer ne consumerà 65 megawatt per un costo di un milione di dollari al mese, sufficiente per alimentare una città di trentamila abitanti. Non è un periodo fortunato per la Nsa, che deve anche gestire qualche ora di stop del suo sito: la rivendicazione è di Anonymous («L’abbiamo attaccato noi»), ma anche qui la smentita è secca: «Solo disservizi tecnici, niente di importante».
La grande fortezza digitale è impossibile da disegnare dal basso, girargli attorno in auto è un viaggio che porta via quasi un’ora. Le stradine sterrate che la circondano sbattono tutte contro cancelli chiusi e cartelli dalle scritte diverse, ma dallo stesso significato: vietato entrare, zona militare, attenzione ingresso ammesso solo ai dipendenti. L’unica via senza barriere
fisiche sale verso l’ingresso principale, in una laterale di Camp Williams road. Una grande insegna avvisa di starsene alla larga, ignorando il divieto, girando la curva ci si trova davanti ad uno spiazzo di cemento tipo stazione di servizio: una casetta di vetro e plastica coperta da un grande tetto vigila su una sbarra di metallo. Qui, qualche mese fa, viene fermata una giornalista di Forbes, Kashmir Hill, alla quale cancellano le foto appena scattate con l’iPad. Destino simile per un blogger locale, Anthony Guicciardi, che si vede strappata di mano la telecamera qualche settimana fa. La sua protesta sul blog diventa virale in rete, ma la Nsa replica con un comunicato di poche righe: «A tutti quelli che ce lo chiedono diamo la stessa risposta: è proibito prendere immagini di qualsiasi tipo». Anche se tra tutte le indicazioni, nessuna spiega questa proibizione. Adesso però i nervi sembrano più distesi. Nessun sequestro, nessuna richiesta di documenti.
Il segreto copre una macchina senza precedenti per lo spionaggio. Dentro quelli che sembrano banali capannoni industriali, nella pancia delle lunghe gallerie scavate nel sottosuolo ronzano migliaia di server, lavorano centinaia di computer con l’unico scopo di ascoltare qualsiasi parola venga detta o scritta nel mondo. Bill Binney, un ex agente della Nsa, racconta alla Fox: «Non è mai stato immaginato niente di simile. Praticamente ogni nostra azione entra in quei sistemi, viene registrata e messa da parte. Il rischio di un abuso è evidente».
Grazie ai satelliti e ai cavi in fibre ottiche vengono captate le telefonate, ovvio, ma anche le email, le conversazioni sui social network, le ricerche sui vari motori da Google a Yahoo!.
Ma non solo, anche le banali azioni di vita quotidiana arrivano in questo angolo d’America: la tessera elettronica del parcheggio, il viaggio prenotato on line, il tragitto in autostrada dove si paga col telepass, ogni sorta di acquisto digitale e l’elenco è impreciso per difetto. Un progetto da un miliardo e mezzo di dollari per costruire questi quasi centomila metri quadrati, ma la spesa aumenta e arriva a sfiorare i cinque se si aggiungono i software e gli ultimi soldi serviti per rimettere in moto le macchine danneggiate dai black out.
Non a caso il motto della Nsa è chiaro: «Se non hai niente da nascondere, non hai niente da temere». E la versione ufficiale ripetuta dal capo, il generale Keith Alexander, sin dall’inizio delle polemiche non si sposta di una virgola: «Non spiamo i cittadini onesti, siamo al loro servizio e la nostra attività ha evitato oltre 50 attentati».
Non la pensa così, Lorina che abita a Bluffdale e che insieme ad altri qualche settimana fa si è messa in marcia verso Camp Williams per protestare: «Io non sono contro l’Agenzia per la sicurezza, sono americana, so che il terrorismo ci minaccia e ho a cuore il bene del mio paese. Ma voglio che ci sia trasparenza, voglio sapere cosa succede dietro quei cancelli». Invece nessuno ci è entrato. Un tour ufficiale con i giornalisti all’inizio dei lavori poi più niente, tanto che il The Salt Lake Tribune racconta la leggenda popolare di visite misteriose concesse ai notabili della città: «Ma non raccontano cosa hanno visto». Il giornale locale avanza anche l’ipotesi che la scelta del luogo sia dovuta «ai mormoni, alla loro riservatezza e al loro credo conservatore». In realtà, ha pesato l’energia a basso costo e la logistica offerta dalle montagne che sono una sorta di protezione naturale. Attorno alla base c’è una clima da X-Files. John se ne sta al Maverick store all’inizio dello stradone, beve la sua DrPepper appoggiato al pick up rosso nell’attesa che la moglie finisca la spesa: «Cerchi le spie? Occhio che se ci vai con il computer si cancellano tutti i dati». In realtà il pc e l’iPad non subiscono alcun danno, solo per qualche minuto a ridosso della recinzione scompare il segnale del telefonino: niente di inquietante.
Il “giocatore di basket” non c’è più. Il suo vicino di casa, di qualche anno più anziano, capelli grigi tagliati corti è gentile: «È inutile che facciate domande, da mesi vengono cronisti. Cosa vuoi sentirti dire: sì sono un agente segreto. Sarebbe strano non trovi? Sono uno che abita qui, ho un lavoro e una famiglia: la verità spesso è semplice».
Fa buio e l’aria che scende dalla montagne abbassa di colpo la temperatura. Dietro il filo spinato brillano le luci della base, non passano più auto sull’highway e sembra di sentire il ronzio dei server, ma questo non è un telefilm di fantascienza, non c’è alcun sibilo sinistro: le nostre vite finiscono lì dentro senza far rumore.

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