Una scorciatoia tutta politica

by Sergio Segio | 22 Ottobre 2013 8:01

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Dietro l’apparente soddisfazione e unanimità che accoglie un provvedimento del genere bisogna leggere una realtà che smentisce alla radice ogni incontrollato ottimismo come se avere sanzionato la «menzogna di Auschwitz» ci consentisse di ritenere di avere voltato pagina e di potere come si suole dire, abbassare la guardia.

Non siamo in grado di condividere la soddisfazione di quanti, come per esempio le comunità ebraiche, sentono di essere in qualche modo garantite dallo strumento legislativo di fronte all’offesa che viene loro recata con il rifiuto di riconoscere la realtà dello sterminio. E altrettanto inconcepibile appare la medesima soddisfazione da parte di organi dello stato, per i quali la legge contro il negazionismo può apparire la presa di coscienza, peraltro tardiva, di responsabilità e corresponsabilità per i troppi silenzi e le omissioni dei decenni precedenti. E ciò senza valutare che esistono già sanzioni legislative che coprono in vario modo reati conducibili al razzismo, fino alla legge Mancino, peraltro largamente disattesa: una circostanza sulla quale bisognerebbe riflettere perché nulla porta a ritenere che una eventuale legge contro il negazionismo possa avere sorte migliore di altri precedenti legislativi. Provvedimenti del genere sono rimasti pronunciamenti politici e non è solo per carenza della magistratura che essi sono rimasti inapplicati, ma essenzialmente per mancanza della volontà politica di fare seguire alle parole gesti concreti. La difficoltà non nasce soltanto dalla impossibilità di racchiudere in formule definite e definitive fenomeni che non si concretano in fatti circoscritti o circoscrivibili ma in cui spesso contano più le sfumature che il nucleo essenziale delle argomentazioni.
Non conosciamo né il testo della proposta di legge né quello della relazione che lo accompagna, ma indiscrezioni fanno presumere che ci troveremo di fronte alle ennesime ambiguità che accompagnarono altre misure a tutela o ricordo della Shoah. Chi non ricorda che nella legge istitutiva del Giorno della memoria non si nomina mai il fascismo? Chi non ricorda che Gianfranco Fini è riuscito a scrivere la prefazione al libro del Cdec sui «giusti» senza mai nominare il fascismo? Ed ora, a quanto si sente dire, anche una legge contro il negazionismo nasce con la medesima ambiguità, se è vero che il suo obiettivo sarebbero tutti i fenomeni di genocidio vero o presunto, «dall’olocausto alle foibe».
D’altronde, l’esperienza ha dimostrato che in nessuno degli Stati – in primo luogo Germania, Austria, Francia – in cui è stato introdotto precocemente il reato di negazionismo la diffusione di queste pratiche è stata efficacemente contrastata. In origine, soprattutto in Germania e in Austria, l’introduzione del reato sembrava giustificata dalla virulenza in quei paesi, e certo non a caso, di episodi particolarmente vistosi di negazione dello sterminio degli ebrei in diretta continuità e contiguità con i luoghi dello sterminio camuffati e camuffabili sotto le spoglie del neonazismo. Nei fatti, le aspettative che erano stata riposte nell’efficacia delle leggi sono andate largamente deluse. Tra l’altro, è stato anche osservato che le occasioni giudiziarie hanno finito per offrire ai diffusori della menzogna di Auschwitz insperate e pubbliche tribune per la trasmissione del loro velenoso messaggio.
Veniamo infine alle prevedibili obiezioni degli storici. Ma il discorso non riguarda soltanto la corporazione degli storici anche se sono essi a manifestare una particolare sensibilità nei confronti di quella che viene definita una verità di stato. Sotto questo punto di vista la legge è una scorciatoia rispetto a un percorso ben altrimenti complessi. Lungi dall’essere una verità assodata una volta per tutte, la verità per legge non solo rischia di configurarsi come un reato d’opinione ma confligge anche con le esigenze e i metodi della ricerca storica. La prima conseguenza di una legge sarebbe quella di deprimere e demotivare la ricerca e il dibattito tra gli storici. Non si tratta di una rivendicazione corporativa ma della preoccupazione che non si ritenga risolto per sempre un problema che interessa l’intera società, perché il negazionismo è un fenomeno culturale prima ancora che politico. È un problema che dobbiamo affrontare con la nostra maturità civile, con cui dobbiamo misurarci costantemente senza l’usbergo rassicurante di una legge. È sul dibattito e sulla conoscenza della storia che si deve misurare la nostra capacità di fare capire anche alle generazioni più giovani, quando presto non ci saranno più testimoni diretti della Shoah, che cosa ha significato e che cosa significa per la nostra civiltà l’avere consentito lo sterminio degli ebrei. Che cosa andremo a raccontare nelle scuole, che il negazionismo è un reato? Rischieremmo in questo modo anche di offrire un comodo alibi a chi vuole eludere di affrontare problemi reali di conoscenza e di comportamenti.


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