by Sergio Segio | 29 Ottobre 2013 7:46
BUENOS AIRES. «Non è successo niente. Siamo ancora il maggior partito argentino e controlliamo il Parlamento», ha detto Juliana Di Tullio, la prima esponente del gruppo di Cristina Kirchner a parlare, quando le proiezioni sul voto legislativo che avrebbe rinnovato metà della Camera e un terzo del Senato, già profilavano una sconfitta. Il Frente para la Victoria (FpV) stava per essere battuto in tutti i principali collegi del Paese e qualcuno doveva metterci la faccia e mostrare la metà piena del bicchiere, anche a costo di sembrare una mamma che consola un bimbo in lacrime, per essere caduto e aver rotto un vaso con dentro 4 milioni di voti.
Meno di 10 minuti dopo e una trentina di chilometri più a nord, nel bunker elettorale del candidato del centrodestra peronista Sergio Massa, intanto, suonavano gli AC/DC. Le macchine d’avanspettacolo nascoste nel soffitto liberavano una pioggia di coriandoli coi colori di campagna e questa vecchia conoscenza del gabinetto Kirchner (di cui fu capo dei ministri) saliva sul palco travestito da uomo nuovo dell’opposizione e festeggiava come se fosse appena diventato presidente.
Con quasi il 44% delle preferenze, Massa aveva staccato di 12 punti il cavallo di Cristina, Martin Insaurralde (32,1%), e incassava una vittoria plateale nella provincia di Buenos Aires, dove vota un terzo degli elettori argentini. Tuttavia, il successo che egli si attribuisce e che ora gli attribuiscono anche i giornali di tutto il mondo, deve essere ridimensionato, se si tiene conto che, oltre alla letteratura d’anticipazione, in Argentina esiste anche una Costituzione.
Con i 3 milioni 776 mila voti appena conquistati, su un registro totale da 30 milioni, Massa ottiene 16 deputati (e nessun senatore) che siederanno accanto ad altri peronisti di destra, variegati e recalcitranti, ma probabilmente disposti ad allinearsi con lui nelle votazioni centrali. In tutto, fanno un gruppo da 38 deputati, in un arco da 257 seggi, che si chiama nel gergo politico locale Peronismo d’Opposizione (PO). Col Senato, dove sono 7 su 72, il PO diventa il terzo peso legislativo, perdendo 3 scranni alla camera bassa e uno in quella alta. La prima forza è il centrosinistra peronista e kirchnerista che, accomodando 132 rappresentanti (se ne giocava 47 e ne ha ottenuti 47) e 39 senatori, può creare da solo il quorum per aprire le sessioni di dibattito su una legge.
Alla luce del presente, il vero campione di giornata non è Massa, che promette successi, ma ha appena iniziato il suo percorso. Non è il kirchnerismo, che tiene le posizioni ma perde consensi, e non lo è nemmeno la coalizione progressista, riformista e moderata di Unen, che pure con 61 onorevoli e 19 senatori resta la seconda forza nazionale. A vincere è il neoliberalismo puro del Pro, che fa capo al sindaco di Buenos Aires, Mauricio Macri, e che sta costruendo da almeno 6 anni un consenso appena dimostratosi capace di uscire dai confini cittadini. Oggi, ha un gruppo di 21 deputati (se ne giocava 9 e ne ha conquistati 16) e addirittura ha inserito anche 3 senatori.
Con una storia simile e opposta per ideologia, c’è la coalizione operaista e studentesca del Frente de Izquierda, un ombrello per la cosiddetta sinistra di base che ha ottenuto un milione e 300 mila voti, facendo capolino nei collegi delle filiere industriali fuori Buenos Aires, come nei distretti remoti, indigeni e sottoproletari del nord argentino. Il 5,8% che ha appena ottenuto in tutto il Paese, gli dà il benvenuto al congresso con 3 rappresentanti.
Questi, finora, i fatti. In merito al futuro, si può dire che Sergio Massa e il suo Frente Renovador hanno ottenuto la legittimazione elettorale che cercavano, per andare ora a bussare alla porta di tutti i peronismi non kirchneristi e iniziare a costruire una coalizione anti-governativa, che sia in grado di attirare la defezione di quanti più colonnelli di Cristina possibile e sfidare il suo partito nelle presidenziali 2015. La forza che Massa deve ancora riuscire a creare, avrebbe oggi il 23,8% dei voti, contro 32,2% del kirchnerismo.
D’altra parte, il partito di governo mantiene un peso enorme, ma mostra anche sintomi preoccupanti. Nonostante i successi in campo economico e sociale, perde paurosamente voti. L’appoggio che riceve dai lavoratori non è più unitario e forse nemmeno maggioritario. Il ceto medio ha difficoltà a risparmiare, le grandi imprese hanno perso entusiasmo e i funzionari pubblici sfoggiano una vocazione nazionale e popolare che nei fatti si scontra con stili di vita lussuosi e privilegiati. Nell’ottobre del 2013, il politico preferito dagli argentini è ancora Cristina Kirchner, ma la presidente è convalescente da quasi due mesi e sul suo imminente rientro in carica ci sono molte promesse e poche certezze. Dalla sua salute e dalla sua volontà, dipende certo il futuro politico argentino molto più di quanto non dipenda da Sergio Massa o da chicchessia.
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