by Sergio Segio | 7 Ottobre 2013 6:29
Non appena il ministro Giovannini annuncia di voler introdurre un reddito minimo per chi si trova in povertà – una misura che esiste da diversi decenni in quasi tutti i paesi europei – non solo la destra, ma anche i sindacati fanno opposizione, chiedendo che prima, appunto, vengano salvaguardati e rifinanziati tutti i diversi tipi di ammortizzatori sociali esistenti. Mantenendo proprio quella frammentazione categoriale che ha finora impedito di garantire diritti certi e omogenei per omogeneità di condizione: una indennità di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro e non sistemi macchinosamente differenziati che si prestano a logiche clientelari e lasciano scoperti ampi gruppi di disoccupati, unitamente, appunto, ad un sostegno al reddito per i poveri.
Condivido il timore dei sindacati che, in una situazione di risorse scarse, ci sia il rischio che avvengano tagli senza compensazione. È dovere dei sindacati, oltre che dei partiti che dovrebbero avere a cuore l’equità e l’uguaglianza almeno di fronte al bisogno, sorvegliare che ciò non avvenga. Capisco, e in linea di principio condivido, anche la richiesta di risorse aggiuntive, specie dopo che la questione della mancanza di fondi non ha fermato la cancellazione della prima, e forse anche della seconda, rata dell’Imu sulla prima casa, con ovvio beneficio per i più abbienti. Ciò che non condivido è la difesa strenua della frammentazione categoriale. Come se un giovane che perde un lavoro a tempo determinato valesse meno di uno che perde un lavoro a tempo determinato e viene messo indefinitamente in cassa integrazione a zero ore; come se un esodato avesse più diritti di un/una cinquantenne che ha perso il lavoro e difficilmente ne ritroverà un altro; come se chi è povero e non appartiene a nessuna “categoria protetta” avesse meno diritti.
La frammentazione categoriale cui assistiamo oggi, con tutte le ingiustizie che produce e i buchi che lascia aperti, è frutto del modo in cui si è sviluppato il sistema di protezione sociale italiano: per progressivo incrementalismo che allargava sì la platea dei “protetti”, ma senza mai ridefinire il disegno complessivo, creando disuguaglianze anche tra gli stessi “protetti”. È avvenuto per i lavoratori, i pensionati e persino i disabili. In modo diverso è avvenuto anche per quanto riguarda il sostegno al costo dei figli, ove chi finisce con il non aver diritto a nulla sono proprio i più poveri. In effetti, non si può non rimanere colpiti dall’attenzione, nel migliore dei casi marginale, per la povertà che caratterizza il dibattito politico e la stessa posizione dei sindacati, oltre che del Pd. Eppure la povertà è aumentata notevolmente negli ultimi anni, colpendo soprattutto le famiglie con figli minori e toccando anche ceti che fino a poco tempo fa pesavano di esserne al sicuro.
A farla crescere non è stato solo l’aumento della disoccupazione, ma anche la riduzione forzata degli orari di lavoro e lo scarto tra redditi e costo della vita. Il reddito minimo, proposto dalla commissione di esperti che il ministro Giovannini sembra voler far propria, mira a coprire almeno parte della distanza tra reddito disponibile e costo di mantenimento di un livello di vita decente. Per chi non ha lavoro, o è in una forte situazione di precariato, sarebbe accompagnata da attività di formazione e accompagnamento al lavoro, per rafforzarne, come si dice, l’occupabilità. Da questo punto di vista, potrebbe essere anche inteso come uno stimolo dal lato dell’offerta di lavoro, a integrazione di quelli che si dovrebbero mettere in campo dal lato della domanda (riduzione del cuneo fiscale, sostegni a chi assume, ecc.), per evitare che i più poveri manchino anche queste opportunità.
È sicuramente legittimo chiedere risorse aggiuntive, e prima ancora chiedere che, in una situazione di risorse scarse, queste non vengano erogate principalmente a favore dei più abbienti, cui anzi si dovrebbe chiedere una solidarietà maggiore, rinunciando ad una quota dei propri benefici (disboscando le detrazioni fiscali, ad esempio, e tassando le pensioni alte). Tale richiesta sarebbe, tuttavia, più forte se si accompagnasse alla disponibilità a rivedere anche le ingiustizie che si nascondono nel categorialismo spinto del nostro frammentato sistema di protezione sociale.
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