Un mondo nuovo senza moneta

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Se la crisi del Moloch capitalistico e delle ideologie produttiviste e tecnocratiche è una realtà tangibile, sotto gli occhi di tutti, parallelamente, non si riesce a scorgere una volontà vera e decisa di indirizzare la società verso altri, più salutari paradigmi. L’aspetto più doloroso di questa crisi è infatti la supina accettazione dei metodi imposti dai suoi artefici per uscirne, senza comprendere quanto grande sia l’opportunità che ci si è presentata davanti. Certamente esistono teorici che hanno provato a dare una lettura alternativa degli eventi, ma, invariabilmente, si è posto l’accento sulle rinunce che ci aspetterebbero, non dando la giusta enfasi a tutto ciò che potrebbe invece essere recuperato.
L’esempio più evidente è quello derivante dal mito del denaro e in generale dell’avere contrapposto all’essere, un veleno che ha gravemente danneggiato, e talvolta distrutto, intere comunità, provocando la disconnessione dell’individuo da dimensioni apparentemente intangibili, ma presenti, come il tempo, lo spazio o, forse più modestamente, con ciò che utilizziamo e consumiamo dando ovunque una impressione di astrattezza e immaterialità…
Un giusto insegnamento ci arriva adesso da un giovane britannico di nome Mark Boyle, un ultratrentenne laureato in economia che, alcuni anni fa, decide di abbandonare il suo lavoro e, in generale, la sua vita di tutti i giorni, per intraprendere una nuova esperienza, letteralmente «senza soldi». Il cimento dura con successo due anni e mezzo, un periodo in cui Boyle, si rende conto, non senza sorpresa, che una vita in povertà sia non soltanto possibile, ma anche, piena di soddisfazioni e di gioie. Con grande entusiasmo allora racconta la sua esperienza in un volume The Moneyless Man, che ben presto diventa un caso editoriale, e che presto verrà pubblicato anche in Italia.
A conquistare è fin da subito l’approccio dell’autore, coinvolgente e divertito e sempre al di fuori di «punti di vista» precostituiti: non siamo davanti ad un ennesimo guru, ma ad un giovane che ha compreso che ciò questa società esclude in maniera categorica sia invece, se non «la» via, almeno una effettiva occasione per condurre una esistenza che rimetta l’uomo e la natura, in reciproca comunione, al centro di tutto. Se il suo primo lavoro letterario poteva apparire a qualcuno come un’opera di narrativa, un racconto romanzato di una esperienza di vita, Boyle decide adesso di alzare il tiro pubblicando un nuovo volume intitolato The Moneyless Manifesto (Permanent Publications, pp. 320, £ 14,95), ideale complemento del suo primo libro. In questo nuovo sforzo il giovane autore tenta infatti di elaborare un sistema pratico di riferimento per passare dai pensieri e dalle parole ai fatti, fornendo un numero infinito di soluzioni a tutti i problemi che una vita senza soldi presenterebbe. Si tratta quindi di un manuale sorprendente ed inusuale per procedere con rinnovata fiducia sulla strada di quella «decrescita felice», di cui troppi discorrono come semplice espressione retorica.
Il credo di Boyle emerge chiaramente anche dalle pagine di questo libro: «Vivi bene, vivi ricco, vivi libero!» ed è un convincimento talmente forte e sincero che l’idea dell’autore è quella di procedere senza indugi verso una terza fase del proprio impegno, creando, in Irlanda, una comunità a impatto e costi zero, in cui le persone possano sperimentare assieme a lui una vita senza quella che definisce «la delusione del denaro».
Siamo convinti che moltissimi, anche tra coloro che si dicono critici del sistema capitalistico, giudicheranno l’approccio di Boyle eccessivamente ingenuo e ottimistico e, in generale, inattuabile, ma ancora una volta crediamo che a venirci in soccorso sia, al contrario, la volontà estremamente dialogica che anima lo scrittore: «Certo non tutti sono disposti a rinunciare completamente al denaro, ma molti sono interessati a sapere come si può spendere meno». Ecco, certamente dubitiamo che masse di neo-primitivi affolleranno i boschi di Europa dopo aver letto il libro di Boyle, ma se saranno in molti coloro che riterranno che qualche paradigma possa esser messo in discussione, allora forse potremo parlare di una via di uscita almeno a «questo» capitalismo agonizzante.


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