Un gioco di sponda fra democratici e Pdl alle spalle del governo
L’incontro del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con i capigruppi della maggioranza sembra avere facilitato uno schema di accordo, ma non c’è nessuna intesa. D’altronde, l’incertezza sul nuovo sistema di voto è solo un frammento delle divisioni che percorrono la coalizione anomala di Enrico Letta su altri fronti. L’interminabile guerra di logoramento nel Pdl tra «ministeriali» e berlusconiani cosiddetti «lealisti» non finisce ancora. Oggi Silvio Berlusconi dovrebbe riunire il vertice e arrivare a una decisione. In apparenza non è cambiato molto.
Ieri il vicepremier e segretario del partito, Angelino Alfano, ha ribadito che il governo non si tocca: anche dopo l’ennesimo rinvio di giudizio dell’ex premier a Napoli, con l’accusa di avere comperato i voti per far cadere il governo di Romano Prodi. E dietro di lui rimane schierata la filiera dei ministri e dei senatori che continuano a prefigurare una scissione, se dovessero prevalere le posizioni più oltranziste. Ma l’elezione di Rosy Bindi a capo dell’Antimafia da parte di uno schieramento di sinistra fa lievitare la polemica contro Palazzo Chigi.
Il capogruppo Renato Brunetta minaccia «la guerriglia» se la Bindi non si dimette. Il punto interrogativo è se queste schermaglie siano un dato ineliminabile e insieme innocuo; oppure se preparino una crisi. L’umore nero attribuito al Cavaliere si deve non solo alla sfilza dei processi e alla prospettiva della decadenza da parlamentare. Gli ultimi giorni hanno confermato la difficoltà a riprendere le redini del Pdl. Alfano e i suoi seguaci sanno che assecondare i «falchi» significa essere ridimensionati; rompere essere additati come «traditori». Gli oltranzisti vogliono invece lavare la sconfitta in Parlamento del 2 ottobre, con la fiducia a Letta, spingendo Berlusconi alla resa dei conti.
Prima nel partito e poi, forse, col governo. Se davvero l’ex premier accelera sull’abbandono del Pdl e il ritorno a Forza Italia, significa che l’ala ostile al governo sta vincendo: anche perché nell’ufficio di presidenza i «lealisti» sono molti più numerosi. Fi rinascerebbe con una strategia di scontro frontale certamente con la sinistra, forse con la stessa maggioranza delle «larghe intese». E se l’ipotesi è di fissare il consiglio nazionale della rifondazione l’8 dicembre, giorno delle primarie del Pd, prenderebbe forma un’operazione di sponda con la sinistra.
Rimane da capire se queste dinamiche saranno accettate da tutto il Pdl. Lo scontro è diventato così vistoso da avere velato le riserve che serpeggiano lungo la marcia di Matteo Renzi verso la leadership del Pd. Il sindaco di Firenze è preoccupato di non apparire in contrasto con Napolitano sulla legge elettorale e sul sostegno a Letta. E sa che nel partito cresce la perplessità sul suo doppio incarico di segretario e candidato di nuovo a primo cittadino del capoluogo toscano. Ma la scommessa inconfessabile è sulla caduta del governo. Se ci si arrivasse, Renzi forse sarebbe anche candidato a Palazzo Chigi. Ma gli imperativi elettorali metterebbero a tacere qualunque obiezione.
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