Tutti d’accordo sul cuneo-bidone

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Una raffica di critiche – e tutte documentatissime – si è abbattuta ieri sulla legge di stabilità: in particolare su due punti chiave, quelli che sono «caldi» già a causa degli scontri tra i partiti della maggioranza: la casa e il cuneo fiscale. Calcoli e tabelle alla mano, la Corte dei Conti, l’Istat e la Banca d’Italia, in audizione al Senato, hanno messo in evidenza l’esiguità delle risorse messe a disposizione per il taglio delle tasse sul lavoro, la sua potenziale iniquità (esclude fasce povere come incapienti e pensionati, e addirittura potrebbe favorire chi sta meglio), la possibilità che il già magro beneficio venga annullato dall’innalzamento di altre tasse.
Per il governo ha parlato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, spiegando che l’esecutivo è disponibile a ricalibrare i tagli concentrandoli sulle famiglie più in difficoltà, ma mettendo in guardia sulla necessità di non sforare i già precari equilibri di bilancio.
Vediamo le critiche dei tre istituti, per ordine. Impietosi i conteggi dell’Istat, secondo cui agendo il taglio sulle detrazioni per il lavoratore dipendente ammonta a 116 euro l’anno: cioè meno di 10 euro a busta paga. In pratica, qualcosa come dieci caffè. Una cifra che – rincara Bankitalia – può valere anche meno di 100 euro l’anno. Una restituzione che in realtà sarà assorbita dal peso del fisco. «A livello aggregato la misura dell’intervento è tale da compensare quasi del tutto l’aggravio automatico d’imposta, valutabile in circa 2 miliardi derivante dall’operare del drenaggio fiscale nel 2013».
Insomma, troppo poco, nota l’istituto guidato da Ignazio Visco: «La dimensione dell’intervento non è elevata e riflette i limitati margini di manovra disponibili e la scelta di intervenire anche in altri ambiti». Non basta, ancora l’Istat nota come il taglio possa avere un effetto ulteriormente paradossale: saranno le famiglie più ricche a beneficiarne più di altre, perché hanno più occupati.
Dice la sua anche la Corte dei Conti, che nota come oltre ai lavoratori autonomi (molto spesso messi peggio dei dipendenti), sono esclusi dalla misura anche gli incapienti e i pensionati, «ossia circa 25 milioni di soggetti» che comprendono anche quelli in «maggiori difficoltà economiche». Il rischio, insomma, è evidente: «Ciò comporta – notano i magistrati contabili – evidenti problemi distributivi e di equità».
Sul fronte della casa, la Corte dei Conti nota che con il provvedimento al vaglio del Parlamento c’è il rischio «di ulteriori aumenti impositivi»: in particolare la Tasi «moltiplica il suo peso rispetto alla Tares» e lasciando al Comune la facoltà di determinare l’aliquota crea il presupposto per aumenti». A rischio sono soprattutto le seconde case.
Altre notazioni importanti, quelle sul pubblico impiego, di solito bersagliato come regno di «privilegiati» o «fannulloni»: se la Corte dei Conti evidenzia che i tagli in questo comparto «non sono replicabili all’infinito», l’Istat mette in luce che quelli già avvenuti hanno portato, in soli due anni (dal 2010 al 2012) a far scendere di ben 6,6 miliardi di euro le spese per il personale dipendente.
Il ministro Saccomanni, intervenuto subito dopo, ha aperto a possibili modifiche. Ma ha avvertito: «Poiché nessuno ipotizza di finanziare gli interventi per la riduzione del cuneo fiscale aumentando il disavanzo, chi è favorevole a misure più incisive dovrebbe indicare quali spese ridurre o su quali maggiori entrate fiscali fare affidamento». Saccomanni spiega che «la strada è stretta»: «Non ci sono soluzioni semplici per reperire ulteriori risorse per concedere sgravi fiscali più ampi», osserva. Il governo, tuttavia, è disponibile a discutere con il Parlamento «l’allocazione delle risorse del cuneo per esempio per favorire le famiglie più numerose». Deve però essere chiaro che eventuali rischi agli obiettivi di bilancio sarebbero rappresentati da «un’interruzione delle politiche di risanamento, da un processo non sostenuto di riforme strutturali e dal rischio di instabilità politica».
Sulla casa, Saccomanni dice che «non è escluso un ritorno alle detrazioni», ma il ministro replica che la tassazione sarà comunque inferiore: il gettito della Tasi ad aliquota standard (1 per mille di circa 3,7 miliardi), ha spiegato, è inferiore al gettito di circa 4,7 miliardi ad aliquota standard dell’Imu sulla casa principale e della Tares sui servizi indivisibili.
Il consiglio dei ministri riunito ieri ha varato il decreto «salva Roma» sull’emergenza deficit della capitale: si permette al comune di innalzare dal 2014 l’addizionale Irpef dall’attuale 0,9% al 2,2%; Inoltre, si autorizza a ripianare 115 milioni di debito anche grazie ai crediti vantati dalle società partecipate, e vengono infine stanziati 28,5 milioni in tre anni per implementare la raccolta differenziata.


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