Tagli agli sconti fiscali se non cala la spesa
ROMA — Il testo definitivo ancora non c’è, ma dall’ultima bozza della legge di Stabilità messa a punto ieri, dopo la riunione del Consiglio dei ministri, emergono particolari importanti. A cominciare dalla clausola di salvaguardia, l’ennesima, che prefigura una riduzione delle detrazioni Irpef del 19% già con la dichiarazione dei redditi del prossimo giugno, ed in prospettiva, addirittura un taglio ancor più drastico dei bonus fiscali: 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 dal 2017 in poi.
Il rischio potrebbe materializzarsi nel giro di pochissimi mesi. Il testo del provvedimento, se confermato, prevede entro il prossimo 31 gennaio una profonda razionalizzazione delle detrazioni Irpef del 19%, che riguardano le spese sanitarie e veterinarie, gli interessi sui mutui, le spese scolastiche, universitarie, le erogazioni ed i contributi liberali. Un nutrito elenco di sconti che vale oltre 4 miliardi di euro (la detrazione sulle spese mediche costa allo Stato 2,3 miliardi, quella sui mutui 1,3), dal quale entro fine gennaio dovranno uscire fuori parecchi risparmi. Quanti? La cifra nel testo non c’è, ma si parla di alcune centinaia di milioni, forse 500.
Se non dovessero uscir fuori dalla “razionalizzazione” scatterà il taglio lineare. Meno un per cento su tutto, a partire «dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013». Vuol dire che, se scatterà il taglio lineare, nella dichiarazione dei redditi di quest’anno che si farà a maggio prossimo, le detrazioni per tutte quelle spese scenderanno dal 19 al 18%. E con lo stesso provvedimento saranno ridotte di un altro punto, al 17%, con la dichiarazione dei redditi 2014.
Non finisce qui. Anzi, dopo il 2014 viene il peggio. Perché la legge di Stabilità prevede che entro il prossimo 31 marzo, con un semplice decreto del presidente del Consiglio dei ministri, tutti gli sconti e le agevolazioni fiscali, quindi detrazioni, ma anche deduzioni, bonus ed esenzioni, siano tagliati per assicurare un risparmio di altri 3 miliardi nel 2015, che dovranno salire a 7 l’anno dopo e a 10 miliardi nel 2016.
Insomma, un aumento delle tasse (la soppressione di uno sgravio si traduce in maggior pressione fiscale) di venti miliardi di euro in tre anni. Che sarebbe possibile evitare, o ridurre, solo «in relazione ai maggiori risparmi di spesa ottenuti rispetto a quanto considerato nei tendenziali». Il fatto è che questi “maggiori risparmi” di spesa dovrebbero essere identificati anch’essi entro il 31 marzo. E sembra francamente difficile che il nuovo commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, sia in grado in appena quattro mesi di trovare, come già gli chiede l’esecutivo, un miliardo di tagli per il 2014, un altro miliardo e 200 milioni per il 2015, e poi ancora gli altri venti che mancano per evitare il colpo di scure sulle «tax expenditures». Che è comunque operazione difficilissima. A suo tempo ci provò, invano, anche Giulio Tremonti, e proprio dalla mancata realizzazione di quel taglio arrivarono gli aumenti dell’Iva che abbiamo inseguito fino a pochi giorni fa, e l’Imu sulla prima casa. Oggi eliminata, ma solo per far posto a un’altra tassa, la Tasi, che sarà di poco più bassa.
Mario Sensini
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