Siria, al via la distruzione delle armi chimiche

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LA DISTRUZIONE dell’arsenale chimico siriano è iniziata, con un’operazione senza precedenti: si tratta di smantellare la scorta di agenti tossici più importante in Medio Oriente, e nel bel mezzo di una crudele guerra civile. Il compito è affidato all’Onu e a venti esperti dell’Oiac, l’Organizzazione per l’interdizione delle armi chimiche. I quali già il primo giorno, ieri, si sono dati daffare. «Mezzi pesanti schiacceranno e distruggeranno ogive di missili, bombe chimiche, miscelatori e unità fisse o mobili di riempimento», annuncia un ispettore. La prima fase, cioè la consegna dell’inventario da parte della Siria, è stata conclusa il 21 settembre. «Ora siamo alla seconda fase: la verifica, la distruzione e la disattivazione», dice l’esperto. In un’intervista al tedesco Spiegel, il presidente siriano Assad promette collaborazione, nega ancora una volta la responsabilità dell’attacco chimico del 21 agosto a Damasco, mentre i servizi segreti di Berlino ritengono che la Siria abbia stazionato in Iran bombardieri e caccia per sottrarli a un eventuale intervento armato straniero.
In quale località della Siria sia intervenuta la missione dell’Oiac, è una notizia coperta dal segreto. Quel che invece ispira ai tecnici sollievo è l’informazione sorprendente – divulgata dalle Intelligence russa e americana: la gran parte dell’arsenale chimico siriano è «inutilizzabile», e perciò
i tempi saranno brevi. Servirebbero tutt’al più nove mesi per distruggere qualcosa come 1000 tonnellate di armi chimiche, fra cui 300 tonnellate di gas mostarda, la sostanza vescicante che appestò le trincee della Prima guerra mondiale.
Ad agevolare l’impresa è la rivelazione che il 75 per cento dell’arsenale di Damasco sarebbe composto di precursori liquidi non pronti alla fabbricazioni di armi. In altre parole, gli agenti tossici sarebbero immagazzinati sotto forma binaria: due prodotti chimici distinti, mescolati solo al momento dell’impiego. Per la Casa Bianca e il Cremlino tutto questo appiana anche altre questioni: riduce il rischio che le tossine vengano nascoste dal regime, e attenua l’ansia in America che i jihadisti possano impossessarsene.
Quanto alla relativa semplicità del lavoro, è dimostrata dall’ottimismo di uno scienziato come Michael Kuhlman, sentito dal Washington Post: «È un’ottima notizia», dice l’esperto a capo del disarmo dell’arsenale chimico americano. Anziché maneggiare armi cariche di agenti nervini, «lì si tratta di serbatoi di sostanze chimiche, corrosive e pericolose, ma non tanto rischiose quanto le armi». Basta che gli ispettori rimuovano anche soltanto uno dei precursori del sarin – o l’attrezzatura usata per misurare e riempire – e la capacità siriana di sferrare un attacco chimico è virtualmente annullata, prima ancora che l’arsenale sia distrutto.
La speditezza dell’Oiac e i mezzi impiegati sembrano dare ragione allo scienziato; bastano per ora «metodi spicci», riassume un responsabile: bulldozer e mazze hanno schiacciato missili e bombe vuoti e attrezzature dei siti di produzione. Ma per il resto, si apre una via finora mai battuta. I siti da controllare e smantellare entro la fine del 2014, infatti, sono una ventina. E questi sono disseminati su un territorio martoriato dalla guerra. In quali condizioni gli esperti riusciranno a raggiungerli, è un quesito irrisolto.
Com’è sospesa anche la speranza di una Conferenza di pace a Ginevra in grado di smorzare il conflitto. Brahimi, l’inviato dell’Onu, spedisce inviti per la seconda metà di novembre. Però, con l’opposizione più che mai sfaldata, non si sa chi risponderà.


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