Sanzioni dimezzate e depenalizzazione per chi riporta i capitali
ROMA — Viaggia su due binari l’offensiva del governo per far rientrare i capitali italiani esportati in Svizzera. Il primo, quello minimo da cui sarebbe possibile ricavare somme non esorbitanti, è una nuova normativa, che potrebbe entrare nella legge di Stabilità, e che ne favorirebbe lo spontaneo rimpatrio. L’altro è un accordo con gli elvetici per lo scambio di informazioni che aprirebbe all’Italia prospettive economiche rosee qualora arrivasse fino alla comunicazione dei nominativi dei connazionali che hanno trasferito denaro in Svizzera.
La prima via è spianata. Nel discorso al Parlamento per la fiducia il premier Enrico Letta ha parlato di «un piano articolato sul tema della legalità dei capitali all’estero». Di che si tratta? Si comincia con la imminente messa a punto di una nuova procedura di regolarizzazione volontaria delle attività economiche e finanziarie illecitamente detenute all’estero. In base a una circolare dell’Agenzia delle Entrate, che presto sarà integrata e resa applicabile, chi detiene fondi all’estero in maniera illegale potrà autodenunciarsi e pagare le imposte e gli interessi relativi a tutte le annualità che non si siano prescritte, ottenendo uno sconto sulle sanzioni fino alla metà del minimo. Tali vantaggi saranno godibili solo se il contribuente non avrà ancora subito verifiche o ricevuto questionari.
Secondo il governo, non si tratterebbe di un condono, perché il contribuente pagherebbe il dovuto rispetto alle varie annualità, senza forfettizzazioni; né è uno «scudo» perché l’evasore perderebbe l’anonimato. Tuttavia perché l’istituto sia appetibile, servirebbe un intervento sulle conseguenze penali dell’autodenuncia, che oggi possono arrivare fino alla detenzione.
Sul punto si è attivata la commissione presieduta dall’ex magistrato Francesco Greco, che sta lavorando a un altro tassello del piano: il nuovo reato di autoriciclaggio. La proposta Greco, che potrebbe tramutarsi in legge, è che venga esclusa la sanzione penale per chi si autodenuncia prima di essere scoperto. Qualora invece l’autodenuncia avvenga già in corso di accertamento, si applicherebbe la sanzione penale ma con «un’attenuante a effetto speciale».
Il meccanismo descritto è in grado di far affluire ingenti capitali in Italia? Neanche il governo ne è convinto, poiché sa che l’unico modo per ricavare somme importanti è un accordo con la Svizzera. Ma quale?
La Svizzera ha già stretto intese con Austria e Inghilterra. La prima prevede una doppia tassazione: una una tantum sul patrimonio (tra il 21 e il 41%) e una tassa annuale sui redditi finanziari percepiti nelle banche svizzere da parte di cittadini austriaci e da qualsiasi società avente come beneficiario una persona fisica austriaca, con un’aliquota del 26% circa. L’Austria ha ottenuto di incassare subito 200 milioni di euro, anticipati dalle banche svizzere. Il resto sarà incassato dalle banche confederate che le gireranno all’Austria.
Ma quello che conta è che la Svizzera conserverà il segreto bancario, avendo pattuito di dover rispondere a soltanto 300 richieste annuali di verifica austriache. Gli evasori non saranno perseguiti penalmente nel Paese d’origine.
È questo il tipo di accordo che sta ricercando l’Italia? No, a sentire le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, rilasciate a luglio: «L’obiettivo è che loro ci forniscano l’elenco dei connazionali con capitali in Svizzera, noi provvederemo a tassarli. Tutto ciò per quanto riguarda il futuro. Per quanto riguarda il pregresso, invece, pensiamo di negoziare un saldo da determinare».
Dunque la condizione primaria sembra essere quella della fine dell’anonimato bancario. E questo perché continuare a garantirlo spingerebbe nuovi capitali italiani a trasferirsi. Su questo punto però, a sentire fonti del Tesoro, l’accordo è tutt’altro che vicino.
Se l’Italia riuscisse nell’intento di garantirsi la totale trasparenza, tenuto conto che secondo le stime più recenti i capitali in Svizzera si aggirano sui 120-180 miliardi, con un’aliquota del 25% sul capitale e un imposta al 25% sugli interessi prodotti, lo Stato italiano totalizzerebbe poco meno di 40 miliardi. Ma la Svizzera ha già lasciato capire che l’aliquota italiana dovrà essere più bassa di quella di altri Paesi, essendo intervenuti negli anni scorsi alcuni condoni che hanno già fatto rientrare capitali in Italia. L’incasso scenderebbe a 10-15 miliardi. E resterebbe il rischio che nel frattempo le banche svizzere spostino i capitali in filiali nei «paradisi fiscali».
Certo, a favore dell’Italia gioca la decisione della Svizzera di aderire alle norme Ocse sullo scambio anche automatico di dati e il venir meno del «segreto bancario» dal prossimo primo novembre, una decisione che però prevede un lungo procedimento di ratifica e che ha anche dei limiti importanti. Bisogna sapere infatti che da novembre a essere comunicate dall’Agenzia antiriciclaggio svizzera saranno solo le informazioni, ma non i documenti, per sospetto riciclaggio nell’ambito di reati di diritto comune (corruzione, droga, truffa) ma non per i reati fiscali. Per quelli bisognerà aspettare il 2015.
Antonella Baccaro
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