Russia, attentato su un bus a Volgograd torna l’incubo delle kamikaze del Caucaso

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MOSCA — Un’esplosione in una delle città più care all’orgoglio patriottico dei russi ha forse aperto ieri un’inquietante campagna terroristica alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Sochi del prossimo febbraio. Una giovane kamikaze daghestana, imbottita di esplosivo, si è immolata su un autobus di linea uccidendo altre sei persone e ferendone una trentina. Ma quello che crea serie preoccupazioni al Cremlino è soprattutto il luogo scelto per un classico attentato di stampo caucasico: Volgograd, ex Stalingrado, città martire della Seconda Guerra mondiale, distante almeno 500 chilometri in direzione Mosca dall’area tradizionalmente al centro delle azioni terroristiche.
E non basta. Ci sono altri elementi che rendono questo episodio molto allarmante in vista dei Giochi che Putin ha voluto a tutti i costi far svolgere in una delle zone a più alta densità terroristica del Paese spendendo cifre mai viste per misure di sicurezza e repressione. Gli integralisti ribelli del cosiddetto Emirato del Caucaso, guidati dall’imprendibile Doku Umarov e legati ad Al Qaeda, hanno giurato guerra alla Russia prima dei Giochi. «E non è detto — ammetteva Aleksej Filatov vice presidente dei veterani del gruppo antiterroristico Alpha — che colpiscano sempre nelle loro zone. Probabile che estendano la minaccia a tutto il Paese. Se lo scopo finale è boicottare le Olimpiadi, è perfino meglio».
Anche la storia personale della kamikaze crea spunti di polemica. Si chiamava Naida Akhijalova, aveva 28 anni, e viveva a Mosca dove studiava lingue arabe all’Università. Gli utenti di VKontakte, il Facebook russo, la conoscono per un suo appello e una richiesta di finanziamenti. Diceva di avere una grave malattia delle ossa e di avere bisogno urgente di aiuti. Molti le hanno dato qualcosa. Era un sistema per finanziare il suo gruppo oppure era veramente malata e ha per questo deciso di uccidersi trascinando con sé più gente possibile?
Di certo c’è che incredibilmente la polizia russa la conosceva bene. Tanto che già pochi minuti dopo l’identificazione era in grado di raccontare molti particolari della sua vita. Nata nella cittadina di Bujnaksk, in Daghestan, si era trasferita da anni a Mosca dove si faceva chiamare con un nome arabo. Qui avrebbe sposato, e arruolato nelle fila degli integralisti, un giovane di 21 anni, Dmitrj Sokolov, latitante dall’anno scorso e ricercato come pericoloso organizzatore di attentati kamikaze.
Nonostante tutte queste informazioni in possesso degli investigatori, Naida è riuscita a spostarsi indisturbata da Mosca a Makhachkala, capitale del Daghstan. Da lì, con un pullman di linea e con le sue cinture esplosive è arrivata ieri mattina a Volgograd. Ieri, alle 2 del pomeriggio (mezzogiorno in Ita-
lia), sembrava uno dei tanti passeggeri dell’affollatissimo autobus 29 che percorreva una delle tre grandi arterie parallele al Volga che formano il cuore dell’ex Stalingrado. C’erano molti lavoratori e ragazzi che tornavano da scuola. L’effetto dell’esplosione è stata attutito proprio dalla folla: le vittime che si accalcavano intorno alla kamikaze hanno finito per rendere più lievi le ferite degli altri passeggeri.
Il resto è cronaca già vista troppe altre volte: lo strazio dei feriti, la lentezza dei soccorsi, il montare di un’ondata sempre più violenta di
insofferenza nei confronti degli immigrati in arrivo dal Caucaso. Uno di loro, che stava salendo su un autobus dall’altra parte della città, è sfuggito per poco al linciaggio da parte dei passeggeri inferociti.
Ma a Mosca Vladimir Putin ha ben altri problemi. Sa bene che la sfida con i terroristi non è finita. Per questo sta varando altre leggi repressive su Internet e ha predisposto una sorta di controllo a tappeto per ogni persona, tecnico, atleta, spettatore, giornalista, che sarà presente alle olimpiadi di Sochi. Adesso però il campo d’azione si allarga. Gli integralisti provano a uscire dalla zona blindata dove le notizie di attentati e di morti riscuotono meno clamore. Anche la scelta di Volgograd come possibile apertura della campagna di terrore sembra avere una spaventosa valenza mediatica. Proprio in questi giorni, nei cinema di tutta la Russia si fa la coda per assistere a Stalingrad, il film di Sergej Bondarcjuk, copiosamente finanziato dallo Stato, per ribadire un mito di forza e di capacità militare che adesso sembra un po’ meno attendibile.


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