Renzi sfida il Pd: ora basta reduci gloriosi

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ROMA — Con diversi giorni di ritardo rispetto alla data fissata sono uscite, sul sito del Pd, le mozioni congressuali dei quattro candidati alla segreteria del partito. Ognuno di loro con lo stile che gli appartiene, senza smentirsi.
Pane al pane e vino al vino, Matteo Renzi, che non si perde in giri di parole diplomatici: «Vogliamo cambiare radicalmente non solo il gruppo dirigente che ha prodotto questa sconfitta, ma anche e soprattutto le idee che non hanno funzionato». Le «larghe intese sono una faticosa eccezione non la regola». Perciò il Pd si deve presentare come «il custode del bipolarismo» e dell’alternanza, facendo la «prima mossa sulla legge elettorale».
Ma per andare avanti, per pensare di vincere, bisogna partire dalla «lettura sincera delle cause» della sconfitta. Non per «attribuire pagelle», «più banalmente perché non accada di nuovo». E proprio per evitare di farsi male, specialità del Pd, bisogna cercare i voti oltre il solito recinto: «Vuoi anche i voti del centrodestra? — scrive Renzi — Sì. E vuoi i voti di Grillo? Assolutamente sì. Non è uno scandalo, è logica. Se non si ottengono i voti di coloro che non hanno votato il Partito democratico alle precedenti elezioni, si perde». Insomma, non si può parlare solo «ai gloriosi reduci di lunghe stagioni del passato. Vogliamo parlare a chi c’era e coinvolgerlo. Ma anche a chi non c’era».
Nel suo documento il sindaco torna a chiedere la rottamazione delle correnti e a proporre un Pd fatto di amministratori, circoli e deputati. Ma ciò che più preme a Renzi è ciò che il Pd può fare per l’Italia, un Paese al quale «serve una rivoluzione radicale», che parta dalla scuola, che passi per la riforma del fisco, per le nuove tecnologie e per i giovani. E, ancora, bisogna semplificare «le regole del gioco: sono troppe duemila norme, con dodici riviste di diritto del lavoro, con un numero di sindacati che non ha uguale in nessun paese occidentale». E Renzi annuncia un piano per il lavoro per i giovani da presentare alla vigilia del prossimo primo maggio. Infine, il sindaco ribadisce la necessità di battere i pugni in Europa per superare il vincolo «anacronistico» del 3 per cento.
C’è tutta la forza del ciclone Renzi in quella mozione, ma c’è anche una paura: «Tutti quelli che dicono che questo congresso ha un risultato già scontato vogliono allontanare la nostra arma più preziosa: la partecipazione».
Di impostazione culturale e politica quasi opposta il documento congressuale del maggior «competitor» di Renzi, Gianni Cuperlo. L’ex segretario della Fgci insiste sulla necessità di collocare subito il Pd nel Pse, per «contribuire ad allargarlo e rinnovarlo». Sottolinea l’importanza del ruolo del sindacato. Propone di portare il deficit dal 2,5 previsto dal governo al 2,7 per cento, in modo da «destinare circa 3 miliardi agli esodati, all’occupazione giovanile e a un programma straordinario di investimenti». Quindi Cuperlo dice no alla proposta renziana di una riforma elettorale sulla scia del sindaco d’Italia perché «si inserisce sul solco del presidenzialismo». E ribadisce la bocciatura della sovrapposizione delle figure di candidato premier e segretario: «Il partito non è un comitato elettorale permanente».
La mozione di Pippo Civati, intitolata «Dalla delusione alla speranza, le cose cambiano, cambiandole» prefigura un Pd che si collochi «tra Prodi e Rodotà». Mentre il documento di Gianni Pittella, «Il futuro che vale», più degli altri batte sul tasto del Mezzogiorno d’Italia.
R. R.


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