“Priebke, la salma in un luogo segreto” ecco la exit strategy del governo per liberarsi del fantasma del boia

by Sergio Segio | 17 Ottobre 2013 7:06

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LA TEMPESTA perfetta si è compiuta. E ora, l’affare Priebke e il destino di una bara chiusa fino a ieri nell’hangar dell’aeroporto militare di Pratica di Mare si incartano in una infernale partita da Comma 22.

UN CIRCOLO vizioso che pesa come una questione di Stato e in cui, nonostante le apparenze, è data in realtà una sola scelta che nessuno però può neppure ipotizzare di pronunciare alla luce del sole. Far dimenticare rapidamente quel feretro all’opinione pubblica, sottrarlo per sempre alla sua vista e, insieme, alla disponibilità della sua famiglia, obbligandola a disinnescare il ricatto con cui, da sei giorni, tiene in scacco il Paese. È una partita ai cui esiti e nelle cui mosse pesano da giorni la volontà di Palazzo Chigi, dei ministeri degli Esteri e dell’Interno, del Quirinale, ma al cui tavolo, formalmente, siedono dal giorno uno di questa storia solo due attori. Il vociante e abile avvocato Paolo Giachini, procuratore di una famiglia di cui nessuno ha avuto il bene di ascoltare mai la voce o l’effettiva volontà. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Una partita che poteva chiudersi la notte della scorsa settimana in cui la salma di Erich Priebke viene trasferita dall’abitazione romana dell’ex Ss nella sala mortuaria del Policlinico Gemelli. E che invece proprio lì comincia.
Quella notte, Pecoraro (e con lui il Viminale) è convinto di avere in mano la carta in grado di disinnescare l’ordigno cui con pazienza e preordinazione la famiglia Priebke e la sua cerchia di neonazisti nostrani hanno lavorato per tempo. Il Vicariato ha infatti acconsentito a che un sacerdote benedica la salma del boia delle Fosse Ardeatine nella cappella dell’ospedale alla presenza ristretta di amici e parenti. A una sola condizione: che il prelato sia indicato dallo stesso Vicariato. Giachini non abbocca. Quella soluzione spegne sul nascere quel che la morte di Priebke deve diventare e, per conto della famiglia, e come la legge pure gli consente, rifiuta che la “benedizione cristiana” venga impartita da altri religiosi che non siano quelli indicati dalla famiglia. Prende tempo, dunque. E lascia che l’opinione pubblica frolli a dovere in un’attesa scaldata dalla decisione di Marino (che per altro avrebbe visto concorde Napolitano, secondo quel che riferiscono fonti qualificate del Viminale) che vieta la sepoltura nel comune di Roma e da quella del Vicariato che chiude all’ex Ss le porte di ogni chiesa cattolica.
Nella lingua tedesca che a Giachini piace, la mossa con cui sfida il prefetto Pecoraro ha un nome. “Zugzwang”.
È un termine degli scacchi e indica la situazione del giocatore che, obbligato a muovere, va incontro allo scacco matto o alla perdita di pezzi pesanti. Che, infatti, è quel che accade. Il prefetto di Roma è costretto a negoziare un piano B. Di cui, questa volta, a dettare le condizioni è però la famiglia Priebke. In cambio di «esequie strettamente private», in una «residenza altrettanto privata», e con la celebrazione affidata alla confraternita negazionista lefebvriana di Albano Laziale, Giachini fa sapere che la famiglia acconsentirà alla cremazione della salma subito dopo i funerali.
La notte stessa di martedì. Sembra uno scambio equo. Capace di togliere di impaccio il prefetto perché, rispettando i caveat del sindaco di Roma, le preoccupazioni del Governo e la lettera della legge sul rispetto della volontà dei parenti di un deceduto (senza la loro autorizzazione non è possibile alcuna cremazione), consente formalmente di non coinvolgere l’autorità civile del luogo (il sindaco di Albano) e soprattutto promette, nell’arco di dodici ore, di togliere di mezzo il Problema: il corpo del nemico.
Ma lo scambio è un’altra trappola. Pecoraro non sa (o forse non viene informato) che Albano Laziale, medaglia d’argento alla Resistenza, è sulle pendici di quei Castelli Romani dove ha la sua casa la “Militia” di Maurizio Boccacci, i neonazisti che predicano da anni il loro odio antisemita. E dunque il funerale “privatissimo” diventa quel che sappiamo. Una corrida che, tuttavia, restituisce al prefetto il pallino del gioco. Che è poi la bara e la salma che contiene. Non più nell’obitorio di un ospedale cattolico. Non in una casa o in una villa private. Ma in una struttura militare della Repubblica.
Si arriva così a ieri. Giachini incontra il Prefetto per oltre due ore e pare farsi di nuovo agnello. La famiglia — riferisce — riterrebbe il problema delle esequie religiose “superato”. Come se il passaggio dai lefebvriani avesse soddisfatto il desiderio della benedizione dell’Altissimo. Tutt’al più da “perfezionare” con un’ultima aspersione di incenso nell’hangar di Pratica di Mare da parte di un cappellano militare. Ma poi? Qui Giachini diabolicamente si ferma. E mentre pubblicamente annuncia cerimonie per il trigesimo della morte dell’ex Ss e la pubblicazione del suo video-testamento negazionista, fa sapere alla prefettura che non tocca alla famiglia trovare a questo punto un luogo di sepoltura dopo il no dell’Argentina e il “ni” della Germania.
Dunque?
Accade che i cimiteri militari tedeschi di Pomezia e del Veneto rifiutino di ricevere la salma di Priebke perché non si tratta di «ufficiale caduto in combattimento». E che il sindaco di Fondachelli Fantina, il piccolo paese del messinese che si era detto disposto ad accogliere il feretro, risulti irrintracciabile alle telefonate della Prefettura di Roma, almeno fino a quando non si accerta che è ricoverato in ospedale e non appare sufficientemente lucido per prendere una decisione.
Il Comma 22 dà dunque una sola scelta. Muovere quella bara. Un’altra volta. Verso una destinazione di transito a tutti ignota, proponendo alla famiglia, in un patto del silenzio, un ultimo onorevole scambio che chiuda per sempre questa storia evitando di trasformarla in una ennesima trappola. E infatti, nella notte, le agenzie indicano che quella bara è tornata a muoversi. Anche se la Questura dice di non saperne nulla.

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