Offresi terreno, orticoltore cercasi: la bacheca della terra

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La domanda, assieme a noi, se l’è posta anche Marco Tacconi che, occhio vigile e intraprendente, si è fatto portavoce di una sensibilità comune a molti, proponendo un’idea volta a promuovere azioni collettive di sostegno reciproco e, contemporaneamente, di valorizzazione ambientale. Il progetto si chiama TerraXchange e prende spunto da una considerazione tutto sommato ovvia: i terreni incolti e abbandonati sono uno spreco, in termini assoluti, relativi, estetici, e ovviamente produttivi. Perché allora non sollecitare i proprietari di quei terreni, siano essi privati cittadini o istituzioni, a metterli a disposizione per volonterosi coltivatori? La proposta è semplice, e spesso sono proprio le intuizioni più semplici ad avere, oltre a un’intrinseca disarmante bellezza, il potere sconvolgente di scombinare l’ordine costituito, le proprietà assodate, i sentimenti di possesso così duri da scalfire. Già, perché per indole o per cultura, per carattere o per tradizione un po’ egoisti lo siamo, così attaccati a un concetto antico di proprietà e di possesso per cui preferiamo che un terreno rimanga in balia delle intemperie e dell’incuria (perdendo notevolmente valore) piuttosto che farlo diventare un triangolo verde in cui qualcun altro possa gettare qualche seme e, perché no, raccoglierne i frutti e magari condividerli con altri. Il bene comune sconvolge, forse perché implica l’impegno di tutti e non solo di alcuni.

Di buoni esempi però in Italia qualcuno lo abbiamo, e quello più noto è certamente rappresentato dall’esperienza di eccellenza di Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, testimonianza di quanto sia importante sollecitare la società civile nel suo insieme nella presa in carico a livello collettivo di un progetto i cui effetti si riversano sulle esistenze di ognuno. La lotta alle mafie sostenuta dal coordinamento per promuovere legalità e giustizia si avvale anche dell’uso sociale dei beni confiscati, in particolare grazie all’impegno dei giovani di Libera Terra che, riunitisi in cooperative sociali, coltivano ettari di terra confiscati ai boss delle mafie, grazie alla legge di iniziativa popolare 109/96 nata da una grande mobilitazione popolare. Si tratta dell’unica organizzazione italiana di community empowerment inserita nella lista delle cento migliori ong del mondo stilata nel 2012 dalla rivista The Global Journal.

Il coinvolgimento delle comunità può avvenire però anche attraverso un cambiamento nell’atteggiamento dei singoli e dei rapporti che intercorrono tra individui all’interno delle comunità stesse. L’idea che propone Tacconi è quella di creare una rete di protezione verso aree degradate, per arginare la perdita di terreni produttivi, ma anche l’incuria del proprio territorio, una delle cause principali dei dissesti idrogeologici. Insomma, non si tratta solo e puramente di valutazioni economiche. Si tratta di un approccio ad ampio raggio, che abbraccia uno spettro di sentimenti di educazione civica pura. Cura del territorio secondo una molteplicità di sfumature che si realizza nella proposta di un luogo – virtuale e non solo – dove questi sentimenti possano concretizzarsi: terraxchange.it nasce come portale di scambio tra proprietari di terreni che per vari motivi non sono in grado di coltivare e coltivatori interessati a prendersene cura. Un portale che, come molte idee vincenti, nasce da un bisogno personale e si fa presto voce per migliaia di persone: riavvicinarsi alla terra nell’era delle famiglie in crisi e in cassa integrazione, dei grandi poli industriali che ingrigiscono le nostre periferie, dei prezzi che aumentano in maniera sproporzionata rispetto alle reali possibilità di acquisto, anche quando parliamo di beni primari come i generi alimentari. Uno slancio che alcune regioni italiane, come ad esempio le Marche, stanno sostenendo anche a livello normativo, ma allo stesso tempo un’esigenza pulsante di riprendere in mano – attraverso il senso più autentico dell’espressione – il proprio territorio e prendersene cura, per venire incontro a bisogni individuali legati alle ragioni sopra evidenziate e ricostituire contemporaneamente quelle reti di relazione che rischiano di andare del tutto perdute.

Così funziona il portale: il proprietario di un terreno incolto, improduttivo e con poco valore commerciale, potrà metterlo a disposizione in modo automatico attraverso l’utilizzo del sito. In tempo reale tutti i cittadini interessati potranno vederlo direttamente attraverso una mappa satellitare o ricercarlo con l’uso dei filtri di ricerca. Il possibile gestore del terreno potrà mettersi in contatto via e-mail con il proprietario e trovare un accordo. Nessuna delle due parti è vincolata in maniera definitiva, anche se i curatori del portale forniscono dei moduli prestampati per formalizzare la collaborazione: se l’attuale proprietario intende vendere il terreno può comunque continuare a ricercare un acquirente, e se per qualche motivo il gestore fosse impossibilitato a continuare la coltivazione potrà lasciarlo senza penali. Due possibili monete di scambio per i servizi prestati: i prodotti cresciuti su quel terreno, oppure il versamento del corrispettivo valore commerciale (che corrisponde a bassissimi costi d’investimento).

E fondamentale diventa allora pensare alla sostenibilità. “Il progetto è sostenuto da un iniziale investimento personale di tempo e denaro. Una volta operativo si auto-sosterrà attraverso e-commerce di prodotti per l’orto e oggettistica per esterni. Chiederemo un contributo se si vorrà pubblicare più annunci o se si vorrà mettere in vetrina qualche terreno. Sarà presente anche la possibilità di donare. In questo modo potremo utilizzare i proventi per organizzare eventi orticoli.”

Dunque, se da un lato l’idea permette ad appassionati di orticoltura di mettersi alla prova, cimentandosi in un’esperienza cui magari non hanno mai dedicato energie perché privi di uno spazio disponibile o perché spaventati dai rischi connessi, dall’altro la relazione porta vantaggi anche per chi ha la proprietà di terreni difficili da gestire, che in questo periodo non si riescono ad affittare o a vendere e che hanno costi di mantenimento a volte non facili da coprire.

In fin dei conti il baratto e la mezzadria sono le tipologie contrattuali più antiche del mondo. Gli ortaggi prodotti hanno comunque un valore non meno importante della moneta. Sono esperienze che mettono fortemente alla prova una chiave di lettura incancrenita nella nostra cultura: quella di leggere qualsiasi (o quasi) scambio come ineluttabilmente ritmato dal flusso di denaro. Qui la relazione si gioca su altre considerazioni, e il più delle volte sono proprio questi approcci alternativi alle dinamiche monetarie a rivelarsi le sfide vincenti. Elementi di coesione sociale dalle altissime potenzialità, spazi piccoli di vita condivisa, esperimenti di peace gardening

Anna Molinari


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