Non Fateci Pagare ancora il disastro di Alitalia

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 Il 4 ottobre leggevo invece sulla «Stampa»: «Sono giornate cruciali quelle che sta vivendo Alitalia per scongiurare il default. Sul “dossier” è sceso in campo il governo che ha chiamato a raccolta, tra gli altri, i vertici della compagnia, le principali banche creditrici, Intesa Sanpaolo e Unicredit, e i principali creditori quali Eni e Adr, con l’obiettivo di trovare una soluzione di sistema».
Il giorno 8 ottobre Salvatore Mancuso, vicepresidente di Alitalia e rappresentante del fondo Equinox e di altri azionisti, risponde al «Messaggero» che voleva sapere cosa chiedeva Alitalia al governo: «Che ci dia una mano a salvaguardare un grande valore strategico per il sistema Italia. D’altro canto, non è forse vero che Air France è posseduta per il 15% dallo Stato francese? Dunque, non mi sembra che si stia chiedendo la luna. Per il governo sarebbe anche l’occasione di mantenere la sovranità su una infrastruttura strategica».
Alitalia è stata svenduta nel 2008 per non rimetterci più, e ci siamo accollati 4 miliardi di debiti. Ora ci viene richiesto di diventare azionisti. Azionisti di un problema, perché se fosse un buon affare non chiederebbero di certo allo Stato italiano di togliergli una parte di profitto… come dire, «nazionalizza il debito e privatizza il profitto».
Secondo il Codice civile e le norme dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), Alitalia deve dimostrare «continuità aziendale», deve cioè provare di non essere insolvente o illiquida. I Capitani Coraggiosi o «patrioti», secondo la definizione dell’allora premier Berlusconi — che fecero una cordata per salvare l’italianità della compagnia di bandiera con la spinta di Intesa Sanpaolo guidata da Corrado Passera insieme a Immsi (Colaninno), Atlantia (Benetton), Riva Fire tra i principali azionisti —, questa continuità la prospettano su carta. Solo che poi, anno dopo anno, le previsioni non si avverano mai e le perdite aumentano. I bilanci sono sempre più difficili da giustificare ai fornitori, alle banche e all’Enac.
Alitalia ha debiti per circa 1 miliardo e un capitale sociale che nel migliori dei casi è di circa 200 milioni. Come fa a rispettare il principio di continuità aziendale quando la compagnia ha ancora soldi per poche settimane, e nei primi 6 mesi di quest’anno ne ha persi 294, circa il 50% in più dell’analogo periodo dell’anno precedente?
Ma i Capitani Coraggiosi non si perdono d’animo, non sono come quelli che non riescono più ad affrontare il mondo perché la loro azienda sta per fallire. Non sono come quelli che chiedono ai loro commercialisti di portare i libri in tribunale per richiedere un concordato, o come quelli che investono fino all’ultimo euro nella loro azienda per salvarla. Molto più astutamente chiedono l’intervento dello Stato, perché è un’azienda di interesse nazionale.
I Capitani Coraggiosi vorrebbero che lo Stato entrasse nel capitale sociale mediante la Cassa Depositi e Prestiti oppure le Ferrovie. In entrambi i casi garantiremmo noi contribuenti. E se l’azienda dovesse continuare a perdere soldi loro non ci metterebbero più un euro; noi invece, dopo aver dimostrato che non ci possiamo permettere un grosso fallimento, continueremmo a metterli e a perderli come abbiamo fatto in passato.
Alitalia è ora un’azienda privata e va trattata come tutte le altre aziende private. Deve ristrutturare il proprio debito e diluire gli azionisti che non parteciperanno a nuovi aumenti di capitale. «Capitani tornate a bordo, cazzo!». È quella la strada per attirare capitali e partner internazionali. E se gli azionisti e creditori di Alitalia non accetteranno questa soluzione velocemente l’azienda fallirà. La cosa ci farebbe naturalmente dispiacere, ma qualcuno pensa che se Alitalia venisse venduta, la gente non verrebbe più in vacanza in Italia? Già adesso ci si arriva con altre compagnie, e altre compagnie certamente sostituiranno i voli Alitalia economicamente sostenibili.
Milena Gabanelli


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