Migranti, non hanno pace neanche da morti

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È passata una settimana ma sembra un secolo. Le notizie che arrivano da Lampedusa lentamente, ma inesorabilmente, affondano nei titoli di coda dei tg e nelle pagine interne dei giornali. Resta a galla solo la schiuma delle polemiche politiche. Le visite di stato sono finite, ma l’emergenza sull’isola resta. Il mare è ancora pieno di morti, il centro di accoglienza è sempre più invivibile e non si sa neppure dove seppellire quei 300 cadaveri che sono ancora allineati nell’hangar dell’aeroporto.
Ieri la guardia costiera ha annunciato di aver recuperato altri 9 corpi, tutti uomini. Sono stati trovati dai sommozzatori fuori dal barcone perché tutti quelli che erano rimasti all’interno del peschereccio sono già stati trasportati a riva. Il bilancio delle vittime della più grande tragedia del Mediterraneo sale così a quota 311, ma mancano ancora all’appello tra i 60 e gli 80 dispersi. Man mano che le ore passano le ricerche si complicano. D’ora in poi si proseguirà anche attraverso veicoli filo-guidati dotati di telecamere e sonar e con il supporto aeronavale. Significa che molti resteranno dispersi per sempre o che finiranno nelle reti di qualche pescatore chissà quando.
Nell’hangar dell’aeroporto invece i resti della salme sono ormai in quelle bare da troppi giorni e sono sempre più maleodoranti. I medici denunciano che «potrebbe emerge un problema sanitario». Letta durante la sua visita ha annunciato in pompa magna che verrà celebrato un funerale di stato. Ma nessuno sa dove, come e quando. Forse verrà celebrata una cerimonia pluriconfessionale a Roma, forse ci sarà una sola bara vuota che dovrà rappresentare tutte le vittime. Il sindaco Giusi Nicolini ha detto che i lampedusani e i familiari delle vittime «attendono di conoscere tempi e modalità rispetto alla destinazione delle oltre 300 bare presenti sull’isola» e ha aggiunto che «in questo contesto e in questo momento i funerali di stato non sono una priorità». Le autorità eritree si sono prese l’impegno di riportare in patria a loro spese solo i morti eritrei la cui nazionalità sarà accertata. Gli altri probabilmente finiranno nei cimiteri messi a disposizione dei comuni siciliani nelle provincie di Agrigento e Ragusa.
Il problema principale è che quelle salme sono irriconoscibili e che procedono con molta difficoltà le operazioni di identificazione. A Lampedusa continuano ad arrivare persone da altre città italiane, dalla Germania, dall’Inghilterra e dalla Svizzera che non hanno notizie dei propri cari in viaggio verso l’Europa. Gli isolani per ospitarli hanno messo a disposizione gratuitamente alloggi privati e strutture alberghiere. Ma in molti casi le ricerche non portano a risultati. Molti familiari non riescono a riconoscere i loro cari e sperano ancora che siano rimasti bloccati in Libia. Restano senza notizie, oppressi da un dubbio atroce che solo il tempo saprà dirimere. Mentre sulle bare continuano a non esserci nomi, ma solo numeri.
Intanto lentamente vengono trasferiti gli stranieri stipati nel centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Ieri 54 eritrei, somali e siriani, fra cui 4 minori, sono stati imbarcati verso Porto Empedocle ed è stata programmata la partenza di altri 70 migranti con un ponte aereo per Foggia e Bari. Ma le condizioni dei sopravvissuti restano ignobili. Una vergogna nella vergogna che mostra tutti i limiti dell’Italia e dell’Europa e che dimostra quanto sono grottesche le parole di chi pensa di risolvere il problema dell’immigrazione dicendo «aiutiamoli a casa loro». Un paese che non è stato capace neppure di dare una tenda a qualche centinaia di poveracci sopravvissuti a una strage, non può certo lavarsi la coscienza sproloquiando di aiuti e soluzioni per popoli e interi continenti distrutti dalla guerra e dalla miseria. E infatti i viaggi continuano. Ieri altri due barconi con circa 200 profughi a bordo hanno lanciato l’sos mentre erano ancora in acque libiche.


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