Manovra in cinque giorni In bilico la seconda rata Imu

by Sergio Segio | 10 Ottobre 2013 5:00

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In altre parole, il miliardo e 600 milioni di correzione dei conti pubblici (tagli di spesa e entrate da dismissioni immobiliari) è sufficiente a riportare il deficit dal 3,1% al 3% solo se entro il 31 dicembre prossimo entreranno nelle casse dello Stato altri 2,4 miliardi di euro, tanto quanto vale il saldo Imu. Se quest’ultimo verrà abolito, come promesso dal governo, bisognerà compensare questa minore entrata con altre misure. E questo complica non poco il lavoro del presidente del Consiglio Enrico Letta e del ministro dell’Economia, Maurizio Saccomanni che, tra l’altro, da oggi fino a lunedì è impegnato all’estero, prima con l’assemblea del Fondo monetario internazionale e poi con le riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, per tornare poi a Roma martedì, quando si riunirà il Consiglio dei ministri che deve approvare la legge di Stabilità 2014-2016.
Con la manovrina di ieri, insomma, non si può considerare chiuso il capitolo delle pendenze 2013 né conseguito l’obiettivo del deficit al 3%, necessario all’Italia per uscire dalla procedura europea di disavanzo eccessivo e guadagnare un prezioso margine di manovra sui conti del prossimo biennio. Quando qualche settimana fa il governo ha licenziato la nota di aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza, ha infatti calcolato il deficit 2013 al 3,1% in termini tendenziali, cioè secondo la legislazione vigente che prevedeva sia l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% a partire dal primo ottobre sia il pagamento del saldo Imu sulla prima casa il 16 dicembre, perché la sua abolizione è al momento solo un impegno politico. L’incremento dell’Iva c’è stato ma l’Imu, appunto, dovrebbe saltare, secondo la promessa che Letta ha fatto al Pdl. Il rischio è che quegli aumenti delle accise sui carburanti evitati ieri rispuntino quando bisognerà cancellare definitivamente l’Imu sulla prima casa. Il Tesoro infatti non ritiene solide le proposte di copertura presentate dal Pdl attraverso il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, che ieri le ha consegnate allo stesso Saccomanni.
Ma intanto il Tesoro è impegnato in una corsa contro il tempo per definire entro il 15 ottobre la legge di Stabilità 2014-2016, che dovrebbe valere tra i 10 e i 15 miliardi il primo anno. Una legge che Letta vuole caratterizzata su tre fronti: la riduzione del cuneo fiscale, a vantaggio dei lavoratori e delle imprese; il taglio della spesa pubblica attraverso una massiccia operazione di spending review; la riduzione del debito pubblico. Il taglio del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo del lavoro per l’azienda e lo stipendio netto, avverrà in tre anni. Per ora si ragiona su uno sgravio complessivo di 4-5 miliardi il primo anno, suddiviso tra lavoratori e imprese. Per i primi potrebbe esserci un aumento delle detrazioni fiscali di cui beneficiano in maniera progressiva i redditi fino a 55 mila euro. Per le imprese si ragiona su sgravi Inail e Irap oltre che su agevolazioni sugli utili reinvestiti. I sindacati chiedono misure a favore anche dei pensionati, ma qui il governo potrebbe fermarsi allo sblocco dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione per quelle di importo fino a 3 mila euro, già annunciato dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Lo stesso che punta a inserire nella manovra un primo sostegno per i più poveri mentre la collega della Sanità, Beatrice Lorenzin, chiede interventi per i non autosufficienti e per mettere in sicurezza gli ospedali. Si inasprisce intanto il confronto con gli enti locali. La manovrina di ieri taglia 500 milioni ai Comuni, nonostante l’opposizione manifestata dal presidente dell’Anci Piero Fassino. Che ha anche scritto al sottosegretario al Tesoro, Pier Paolo Baretta, per opporsi all’ipotesi della sdemanializzazione di una serie di beni, in particolare le spiagge, per venderli. Baretta assicura che non c’è ancora nulla di deciso e che verrà aperto un confronto con gli stessi enti locali e con le categorie interessate.
Enrico Marro

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