by Sergio Segio | 17 Ottobre 2013 7:33
Il Movimento Science for Peace — che riunisce intorno all’obiettivo di opposizione ad ogni forma di violenza sull’uomo molte donne e uomini di scienza, fra cui 21 Premi Nobel — appoggia la proposta del nostro Presidente, che va molto al di là di un gesto politico. In primo luogo è un atto di tutela della nostra Costituzione, che all’articolo 27 recita: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» e all’articolo 13 ribadisce: «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
Ma le nostre carceri traboccano di detenuti costretti a vivere in condizioni disumane e molti di loro sono in attesa di giudizio, quindi soltanto presunti colpevoli. Bisogna chiedersi perché abbiamo uno dei più alti tassi di suicidio in prigione d’Europa. Un Paese civile non può che vergognarsi di questa situazione perché se è legittimo (e costituzionale) togliere ad un uomo la libertà, non è legittimo togliergli la dignità. Se crediamo nella giustizia interpretata dallo spirito costituzionale, allora crediamo in una giustizia non vendicativa ma rieducativa, volta al recupero della persona. Questa è la cultura moderna del Diritto e anche della parola evangelica; mentre la vendetta, che si accompagna al desiderio di violenza e sopraffazione, appartiene ad un principio antico e barbaro che soddisfa un istinto primario e si rifà al concetto della legge del taglione «occhio per occhio, dente per dente».
La scienza ha inoltre recentemente confermato le basi solide della giustizia rieducativa, dimostrando che il cervello dell’uomo è plastico e si rinnova perché possiede cellule staminali proprie; dunque esiste per tutti gli esseri umani la possibilità di cambiare, di ravvedersi come predicava Giovanni Battista sulle rive del Giordano, e la persona che abbiamo messo un giorno in prigione potrebbe non essere più la stessa, cinque o dieci anni dopo, se la sua mente è stata educata. Ma come prendersi cura di una persona in una situazione di sovraffollamento e degrado, denunciata persino dall’Unione europea?
Che fare allora? L’amnistia e l’indulto sono soluzioni molto buone e inevitabili. Certo siamo tutti d’accordo che i provvedimenti d’urgenza non risolvono il problema della giustizia alla radice. La soluzione definitiva viene da una svolta culturale descritta molto bene da una frase del filosofo Giuseppe Ferraro, che cito spesso: «Quando le scuole non saranno più carceri e le carceri saranno scuole, potremo dire di vivere in un Paese civile». Il modello esiste in Europa ed è molto efficace. È il sistema scandinavo che considera il carcere una misura estrema, intesa, appunto, come scuola di recupero, che non ha nulla di punitivo e tantomeno vendicativo. Per la maggior parte dei reati, vengono adottate altre misure, dagli arresti domiciliari, alle sanzioni, ai servizi sociali. Il risultato è un tasso di criminalità e soprattutto di recidiva molto basso. Anche l’Italia, con il suo patrimonio di cultura giuridica e di coscienza civile, può raggiungere questo obiettivo e la proposta del nostro Presidente va in questa direzione.
* Direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia. Fondatore di Science for Peace
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