Legge elettorale, il Pd verso il doppio turno

by Sergio Segio | 22 Ottobre 2013 7:42

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 PER questo giovedì in commissione Affari costituzionali del Senato – al netto di uno slittamento causato dalla sessione di bilancio – la relatrice democratica Doris Lo Moro sosterrà le ragioni del secondo turno di ballottaggio. Annuncerà, insomma, il nuovo corso. L’effetto più probabile sarà quello di acuire lo scontro con il Pdl. Facendo saltare il tavolo, ma frenando quei ritocchi minimi al Porcellum sognati dai fan del proporzionale.
Prima di arenarsi di fronte ai veti incrociati del Pd, la mediazione fra democratici e berlusconiani aveva prodotto il cosiddetto “pillolato”. Un meccanismo proporzionale che – con il fenomeno Grillo stabilmente sopra il 20% – non mette al riparo un sistema tripolare dal rischio di nuove, larghe intese. Un incubo, per Renzi.
Enrico Letta, per adesso, si limita a osservare. Ancora ieri è tornato a negare progetti neocentristi, reclamando una legge elettorale che «difenda il bipolarismo » e garantisca «una maggioranza » dopo le elezioni. E, ciò che più conta, il premier invoca un’accelerazione: «Bisogna fare una riforma. Prima del 3 dicembre, quando si riunirà la Consulta e probabilmente dichiarerà
incostituzionale l’attuale sistema, almeno una delle Camere approvi una nuova legge. Altrimenti – sostiene – saremmo in un limbo».
Nelle ultime ore, intanto, è maturata la svolta. All’insegna del doppio turno. Un modello che già in passato aveva ottenuto il consenso di ampi settori del centrosinistra, ma che non ha trovato posto nella piattaforma comune stilata dai due principali partiti della maggioranza. Almeno fino alla sortita del sindaco di Firenze.
Il risiko della riforma elettorale è strettamente legato alla cavalcata di Renzi verso Palazzo Chigi. L’incubo del candidato alla segreteria del Pd è che si torni a votare con un Super Porcellum. Con un meccanismo, cioè, che poco si discosti dall’attuale sistema di voto. Per di più privato del premio di maggioranza alla Camera, in caso di intervento della Corte costituzionale.
Toccherà a Lo Moro, relatrice democratica del “pillolato” assieme a Donato Bruno (Pdl), sancire la novità. La senatrice elencherà innanzitutto i punti condivisi da Pd e Pdl: una soglia per il premio di maggioranza intorno al 40%, un premio di maggioranza nazionale alla Camera e al Senato (a Palazzo Madama con una ripartizione su base regionale), “riconoscibilità” dei candidati ed eventuale rappresentanza di genere. Fin qui, nulla di nuovo.
Ma è sui punti non condivisi dai due blocchi – preferenze e, appunto, doppio turno – che si aprirà il braccio di ferro in Parlamento. Interpellata, Lo Moro nega divisioni interne al Pd. E conferma la direzione di marcia: «Come capogruppo del Partito democratico in commissione Affari costituzionali, l’obiettivo è portare a casa una legge elettorale con il doppio turno. E al momento non ci sono subordinate ». Doppio turno, allora. In attesa di capire l’effetto che fa.
Le subordinate, però, esistono.Renzi, ad esempio, è preoccupato da un sistema elettorale proporzionale. Preferisce scontrarsi con il Pdl – rischiando di rallentare l’iter della riforma in Parlamento – che lasciar passare un sistema che non garantisca la governabilità. E se anche i giudici costituzionali dovessero privare il Porcellum del premio di maggioranza a Montecitorio, il sindaco continuerà a battersi per il doppio turno. Se questa strada dovesse rivelarsi un vicolo cieco, però, tornerebbe alla carica per introdurre almeno una soglia che garantisca un premio di maggioranza. Tutto, insomma, è meglio di un Super Porcellum.
Anche il Pdl dovrà fare i conti con alcune subordinate. Perché se Angelino Alfano riuscisse a pensionare Silvio Berlusconi evitando la spaccatura del Pdl potrebbe addirittura scegliere di sostenere il meccanismo del secondo turno di ballottaggio. Scenario opposto, invece, in caso di frattura traumatica dell’area berlusconiana. In quel caso, le colombe governative avrebbero tutto l’interesse a un sistema ultra proporzionale, utile a tenere in vita laboratori neocentristi. L’incubo di Renzi, appunto.

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