Le imprese a Letta: il cuneo va ridotto di 10 miliardi

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ROMA – Un incontro durato meno di un’ora. Franco, cordiale ma anche diretto e senza sconti. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è andato a Palazzo Chigi a discutere con il premier Enrico Letta della prossima legge di Stabilità che vedrà la luce martedì prossimo. Il leader degli imprenditori, senza preamboli, è andato al cuore del problema: siamo pronti a rinunciare agli incentivi (valore in una forchetta tra i 3 e i 9 miliardi di euro) ma il cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro deve essere di almeno 10 miliardi. Più del doppio dei 4-5 miliardi per i quali, da quanto Letta ha annunciato al G20 di San Pietroburgo di voler ridurre l’elevato costo del lavoro italiano, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni sta lavorando con fatica per trovare la copertura finanziaria. Letta non ha risposto con cifre ma ha garantito che il costo del lavoro — e quindi il valore del cuneo tra sgravi fiscali e contributivi — sarà il cuore della manovra. Naturalmente tutto da valutare all’interno del perimetro rigoroso del 3% per non rischiare di aprire una nuova procedura di infrazione dagli sceriffi di Bruxelles. L’Istat ieri ha dato le ultime cifre sulla pressione fiscale che nel secondo trimestre ha messo a segno un vero e proprio record a quota 43,8%.
Il premier in particolare ha illustrato agli imprenditori l’intenzione di mettere in campo un duplice pacchetto con interventi rivolti sia a imprese che a lavoratori. Questa precisazione è importante perché potrebbe portare il cuneo verso una diversa tracciabilità. Va bene ridurre il peso previdenziale e del fisco in modo da dare ossigeno alla busta paga dei lavoratori dipendenti, ma anche cercare di valorizzare le imprese più innovative e quelle che investono e assumono. Nell’incontro si è comparato il nuovo-futuro cuneo con quello varato dal governo Prodi nel 2007. Allora Letta era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e quella partita se la ricorda bene. Valeva 5 miliardi di euro, tre per le imprese e due ai lavoratori. Ma nessuno se ne accorse. Un po’ perché alla fine nelle tasche dei lavoratori dovevano finire appena 200 euro all’anno e poi perché,l’anno successivo, vennero ritoccate verso l’alto le aliquote regionali e finì pari e patta. Le imprese qualche beneficio lo ebbero ma nel 2008 arriverò la crisi dei «subprime» e il grande freddo dell’economia.
Oggi la situazione è diversa. Squinzi ha spiegato che, concordando con Saccomanni circa un germoglio di ripresa, provata dai buoni dati sulle esportazioni nei primi nove mesi del 2013, va tentato il possibile per agganciarla puntando proprio su un recupero di produttività e su una maggiore capacità di spesa per rilanciare i fiacchi consumi. Nessuno è entrato nella tecnicalità di questi interventi — Irap, Ires etc. — ma Squinzi ha insistito sull’importanza di concentrare più risorse possibili su obiettivi precisi per non disperdere nulla.E ha consigliato il governo di convogliare nel cuneo anche i 28 miliardi di fondi Ue ancora non spesi e che vanno a scadenza nel 2013.
«Non possiamo neppure immaginare di perdere anche un solo euro di queste risorse», ha affermato Squinzi nel corso di una precedente audizione al Senato, riferendosi ai fondi non spesi per 28 miliardi sui 50 a disposizione dell’Italia nel periodo 2007-2013: «In questa fase economica e della finanza pubblica oltre ad essere economicamente uno spreco non è moralmente accettabile». Servono «uno sforzo straordinario» e una «robusta accelerazione». Quanto poi alla programmazione 2014-2020, con «quasi 60 miliardi di investimenti» siamo di fronte ad una «occasione unica per mettere tutto il Paese sul sentiero di crescita». Letta ha incontrato anche il presidente dell’Associazione delle banche (Abi) Antonio Patuelli. Anche lui vede con favore l’idea di puntare a investire 10 miliardi di euro nel nuovo cuneo ma si è mostrato più prudente di Squinzi. «Giusto puntare sempre al più — ha detto — ma siamo fortemente realisti e vediamo cosa viene fuori da questa grande spinta alla riduzione della spesa pubblica». Dal fronte sindacale si punta alla stessa cifra (10 miliardi) indicata da viale dell’Astronomia: serve una riduzione delle tasse sul lavoro che non sia «simbolica» e «un primo passo che non assomigli ad una finta è di 10 miliardi», ha sostenuto il leader della Uil, Luigi Angeletti, confermando che «se il governo non ci convince», i sindacati sono pronti a reagire mettendo in campo «un mobilitazione unitaria».
Roberto Bagnoli


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